Una doccia. Un motel sulla statale. Animali impagliati in una hall in semioscurità. Un omicidio. Questi sono gli ingredienti principali del più noto film di Alfred Hitchcock, Psycho, del 1960, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Bloch, uscito l’anno prima.
Con l’amatissimo stratagemma del Cos’è successo prima, il canale americano A&E dà in mano a Carlton Cuse (una delle menti dietro Lost), Kerry Ehrin e Anthony Cipriano un progetto da sviluppare che si incentri sugli anni adolescenziali di Norman Bates, l’assassino problematico del sopracitato Psycho, e del suo rapporto con la madre, Norma, solo citata nel film, e vista esclusivamente nella famosa inquadratura della sedia a dondolo, entrata a pieno diritto nella storia del cinema.
Nel luglio del 2012 non viene solamente commissionato un episodio pilota, ma tutto il blocco delle 10 puntate previste che avrebbero composto la prima stagione. Bates Motel, il titolo dato alla serie, comincia così. Norman si sveglia nella sua stanza, e scopre il cadavere del padre in garage. Norma è nella doccia. La donna, con i soldi dell’assicurazione, decide di lasciare la città e rilevare un motel in una piccola cittadina dell’Oregon (e non della California, come appunto viene espressamente citato nel film originale). Si avvia la torbida storia del malsano rapporto di una madre insicura, pressante, ossessionante e del figlio diciassettenne che non riesce ad allontanarsi da quella donna da cui ha preso il nome.
Quello che si nota immediatamente è l’ambientazione contemporanea. La vicenda, nonostante sia un prequel, si svolge ai giorni nostri, cosa che potrebbe far storcere il naso ai puristi. Ma, man mano che la narrazione prosegue, ci si accorge che una ricostruzione storica esatta avrebbe potuto risultare straniante. La vita familiare e di un paesino negli anni Quaranta potrebbe legare gli spettatori per l’arco della durata di un film, non per un’intera serie televisiva. A meno che non si tratti di Mad Men. Ma non è quella la storia che si vuole raccontare qui. Il vero protagonista è il rapporto malato tra una madre e un figlio, interpretati rispettivamente da Vera Farmiga (Up in the Air, The Boy in the Striped Pyjamas, The Departed) e Freddie Highmore (August Rush, Charlie and the Chocolate Factory, Finding Neverland), due attori dal calibro cinematografico approdati nel mondo televisivo e che mettono in scena magistralmente il perturbante e la rappresentazione moderna di uno dei tòpos più classici della tragedia greca.
Quello che non convince è proprio tutto il resto. Le vicende torbide della cittadina in cui i due si ritrovano e in cui vengono coinvolti non reggono il confronto con la problematica intimista di cui si fa portatrice la serie. Certo, danno il la a prove recitative formidabili, soprattutto della Farmiga, che la relegano a star indiscussa dello show (attualmente è candidata come miglior attrice una serie drammatica al Critics’ Choice Television Awards 2013), ma non vanno oltre. Carlton Cuse ha citato Twin Peaks come chiave di ispirazione principale della serie, auspicando di riuscire a girarne un centinaio di episodi, 70 in più della serie di Lynch. Lo speriamo anche noi, ma una cosa del genere accadrebbe solo se si respirasse sul serio l’atmosfera cupa ed enigmatica della serie cult a cui fa riferimento.
L’8 aprile A&E ha commissionato una seconda stagione, sempre da 10 episodi, che si comincerà a girare questa estate e che sarà pronta per la premiere il 6 gennaio 2014. Non è ancora prevista una messa in onda italiana.
Marco Borromei