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Bateson e la potenza della metafora (II)

Creato il 09 agosto 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

Mary Catherine Bateson, nel capitolo conclusivo di Dove gli angeli esitano, attesta che «il tema della metafora ricorre in tutta l’opera di Gregory, e in effetti l’idea che lo assorbì nelle ultime settimane di vita era quella del sillogismo della metafora». Questa testimonianza della figlia del grande “pensatore” non dovrebbe essere sottovalutata, e ci dovrebbe indurre ulteriormente a chiedere: perché nelle ultime settimane di vita Bateson era preso dall’idea del sillogismo della metafora? Cosa avrà visto la sua mente in questo argomento che noi non riusciamo a vedere? Quando vogliamo verificare l’esattezza di un’espressione metaforica, ci esponiamo al ridicolo. Quando sentiamo dire da qualcuno: “Sono in un vicolo cieco”, al posto di: “Nella mia situazione in cui mi trovo non vedo vie d’uscita o soluzioni”, se volessimo analizzare, come dicevo, l’espressione “vicolo cieco” dal punto di vista “logico” o da ciò che noi crediamo essere la “realtà reale”, è chiaro che precipitiamo nel ridicolo. È inutile aggrapparsi all’idea che non possono esistere “vicoli vedenti” e “vicoli non vedenti”: i vicoli non hanno occhi, di conseguenza non possono vedere o non vedere. Ma se ci inoltriamo in questo sentiero, non è che l’espressione: “Nella situazione in cui mi trovo non vedo vie d’uscita o soluzioni” sia meno carica di linguaggio metaforico della prima! È difficile immaginare “situazioni” che hanno “vie d’uscita”, cioè entriamo comunque in un “vicolo cieco”. Insomma, come insegnava l’ultimo Bateson, non è alla grammatica e alla sintassi della (cosiddetta) logica che dobbiamo badare quando vogliamo comunicare un’idea o un’immagine, bensì alla efficacia stessa del “senso” che vogliamo comunicare. Nella comunicazione s’effettua una analogia o s’instaura un rapporto di somiglianza tra due immagini, il cui effetto attiva una terza immagine come risultato della loro relazione. Questa terza figura consente a sua volta delle inferenze. Come fanno dunque i vicoli ad essere ciechi? Anzitutto, abbiamo l’immagine di una stradina che non ha uno sbocco o una via d’uscita. Una strada senza sbocco non porta da nessuna parte, il nostro cammino si conclude alla fine del suo percorso. Non possiamo affidarci ad essa per raggiungere una qualsiasi parte dell’abitato. Allo stesso non possiamo affidarci a un “cieco” per lasciarsi guidare nel nostro cammino: la stradina è occlusa, è “chiusa”, non ha alcuna apertura; così, anche chi non vede non può condurci oltre. Ma l’inferenza non finisce qui: la strada è un itinerario tracciato dall’uomo per condurci laddove dobbiamo arrivare; la strada traccia dunque la meta da raggiungere. Ed ecco che la strada può divenire immagine della nostra vita: “Hai preso una cattiva strada”; “Questa è la strada della mia vita”, ecc. La strada è un itinerario “sicuro” che può “illuminare” il nostro cammino; ma una strada che non conduce a niente è una strada che non “illumina”, è come una strada buia, o “cieca”.
Ora nessuna somiglianza potrebbe essere colta se contemporaneamente non si cogliessero le differenze: tra l’immagine della vita e quella della strada la differenza deve essere netta. Nessuno è così sciocco da non saper distinguere una vita da una strada: allora qual è il “ponte” o l’arco che ci permette di attraversare da un’immagine all’altra senza far perdere di vista la loro differenza? Perché la metafora è sempre un ponte sospeso tra due sponde in grado di comunicare grazie alla sua presenza, altrimenti rimarrebbero l’una di fronte all’altra, nelle loro rispettiva distanza. La potenza della metafora ha il potere di avvicinare ciò che è distante. Qualcuno potrebbe essere indotto a credere che questo processo riguardi la “innocua” creazione poetica, o, in sovrappiù, il nostro linguaggio quotidiano, il nostro particolare modo di esprimerci. È indotto a crederlo perché non sa o non riesce a vedere la potenza della metafora all’opera nella costruzione dei meccanismi sociali, perché non sa o non riesce a vedere che ciò che noi chiamiamo “ruoli”, categorie sociali, tipi, ecc., sono rete di relazioni costruite in forza della potenza della metafora.


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