C'è un leit motiv che, ahimè, non passa mai di moda e ogni tanto, torna a fare capolino su qualche media nazionale: ci sono lavori che gli italiani – specie giovani – non vogliono più fare. In tempi di crisi economica, tuonano i benpensanti contro bamboccioni e choosy, è un crimine contro l'umanità e il solito politico di turno coglie la palla al balzo, invitando i giovani a lasciar perdere l'università (già in forte calo: in meno di un decennio – dal 2004 al 2012 – le immatricolazioni sono crollate del 17%) e a dedicarsi ai cari vecchi lavori manuali.
L'allarme, stavolta, è lanciato da Paolo Reboani, amministratore delegato di Italia Lavoro, che lamenta la mancanza di fabbri, falegnami, sarti, di artigiani insomma, nerbo della piccola e media impresa italiana, che si sta avviando sul viale del tramonto. Una fine ingloriosa, figlia, secondo Reboani, soprattutto della mancanza di continuità tra il sistema scolastico e quello del lavoro, cui va aggiunta anche la convinzione culturale – sbagliata -, che i mestieri manuali siano inferiori a quelli intellettuali. Servirebbe, quindi, un potenziamento del sistema scolastico tecnico, con il rafforzamento, ad esempio, degli ITS (progetto che, però, non ha mai riscontrato grande successo) e, più in generale, di aumentare il collante che unisce scuola e lavoro.
Sul fatto che non ci sia nessun ponte tra scuola e lavoro in Italia, siamo pienamente d'accordo (anche se la scuola, prima che lavoratori, deve insegnare, ai giovani, ad essere cittadini), ma è davvero tutto così sorprendentemente semplice? Non penso: l'unica cosa di cui dovremmo sorprenderci, è la superficialità dello sfogo di Reboani. Certamente esistono i fannulloni, che vogliono tutto e subito e senza alcuna fatica, ma tenendo conto della percentuale di disoccupati (era al 12%, durante l'estate), dobbiamo pensare che in Italia ci sono milioni di sfaticati? L'analisi di Reboani, in realtà, appare molto semplicistica: accusa principalmente la scuola di tutti i mali del mondo, ma non tiene conto di tutte le sfaccettature del problema, che limitano l'occupazione nel settore dell'artigianato:
1 - fare impresa in Italia è, già di per sè, un'impresa titanica: burocrazia, tasse (secondo la CGIA di Mestre, nel 2013, la pressione fiscale toccherà quota 44,2%), costi di produzione sempre più alti (energia, carburante, materie prime, ecc.), scoraggerebbero chiunque dal volersi tuffare nell'avventura imprenditoriale;
2 – se non avete lo spirito dell'imprenditore, allora non dovreste far altro che farvi assumere da qualche volenteroso artigiano, ma qui casca l'asino: dati i costi sempre più alti del fare impresa, dove può risparmiare il vostro datore di lavoro se non sul costo del lavoro? E con il costo della vita, ormai inversamente proporzionale al livello salariale (secondo la Banca d'Italia, il potere d'acquisto dei salari dipendenti è sceso dell'1,9% – circa 500 € – tra il 2012 e il 2013), uno stipendio troppo basso non è certo il massimo dell'aspirazione per chi deve pagare affitto e bollette;
3 – quella che, forse, è la vera motivazione: è ancora possibile fare artigianato nella società dei consumi di massa? Dobbiamo tener presente, infatti, che, a parte qualche eccezione, questi mestieri stanno lentamente scomparendo, perchè non più vantaggiosi: è più economico comprare il pane dal panettiere, certo più buono, ma più caro (costi delle materie prime, costi dell'energia, costo del personale ricadono sul prezzo finale del prodotto) o dal supermercato/centro commerciale, sicuramente di qualità inferiore – produzione industriale – ma più economico? E, al giorno d'oggi, serve andare dal sarto, quando, spendendo pochi euro in più, si può acquistare un capo nuovo?
E' lo stesso sistema economico moderno che sta mettendo in ginocchio i vecchi mestieri artigianali, inadatti, per la maggior parte, a far fronte ad una clientela di massa. Se vogliamo che riaprano le panetterie e le sartorie di una volta, bisognerebbe, ad esempio, porre un limite alla proliferazione di centri commerciali e di supermercati – che hanno, spesso, un'offerta qualitativamente più bassa, ma che possono contare su quantità e su prezzi più contenuti -, impresa impossibile, se si tiene conto che dietro vi sono grandi aziende, spesso multinazionali, dal grande potere economico e politico.
Perfino in tempi di crisi, quando ci si rivolge più spesso agli artigiani riparatori (sarti, calzolai, ecc.), piuttosto che comprare un oggetto nuovo, siamo di fronte ad un trend momentaneo, destinato a sparire al primo accenno di ripresa economica; perchè, semplicemente, siamo diventati una società dell'usa e getta.
Danilo