Nelle società moderne l’ordine pubblico poggia specialmente su due uomini, il primo dei quali ha per missione di sfilare in parata, l’altro di tagliare le teste. L’ordine gerarchico conservatore comincia dal re e finisce col carnefice. Quando gli operai di Lione si sono sollevati, dicendo: <dateci da vivere o uccideteci>, questa richiesta ha provocato un grande imbarazzo; e siccome farli vivere sembrava troppo difficile, li hanno sgozzati. L’ordine è stato così ristabilito, per il momento! Ora si tratta di sapere se si è dell’idea di tentare spesso delle esperienze così sanguinose. Perché, se si giudica da tali esperimenti pericolosi, ci si deve affrettare! Ogni ritardo, infatti nasconde una tempesta. Nel momento stesso in cui scrivo queste righe, tutta Parigi è in agitazione! Perché queste numerose riunioni di operai in diversi punti della capitale? Perché quei distaccamenti di cavalleria che percorrono i nostri viali con aspetto così minaccioso? Ma, Dio sia lodato! La stampa questa volta si è un po’ commossa ed ha parlato di queste agitazioni in modo così serio, quasi si fosse trattato del viaggio di un principotto o di una corsa di cavalli. Andiamo, coraggio! Siamo sulla via del progresso. Ma siate ben coscienti, signori, dove vi condurrà questo primo passo. Voi parlate del problema di risolvere? Risolverlo diventa, da oggi, un’imperiosa necessità. Che cosa aspettavano, d’altronde? L’epopea dell’industria moderna ha ancora qualche lugubre episodio da fornirci? I disordini di Nantes, le sommosse di Nimes, i massacri di Lione, i fallimenti continui di Milano, la stasi di tutti i mercati, i disordini di New York, la sollevazione dei cartisti in Inghilterra, non sono tanti avvenimenti solenni e formidabili? Non sono ancora sufficienti tante fortune che crollano, il molto fiele mescolato ai godimenti dei ricchi, la collera che gonfia il cuore del povero sotto i suoi stracci? Ma chi dunque è realmente interessato al mantenimento dell’ordine sociale che ci è stato dato? Nessuno, no, nessuno: il ricco non più del povero, il tiranno non più della vittima. Per conto mio, son convinto che i dolori, prodotti da una civiltà imperfetta, si diffondano in forme diverse sull’intera società. Guardate l’esistenza di questo ricco: è colma d’amarezza. Che cos’è dunque? Non ha forse salute, giovinezza, donne e adulatori? Crede di non aver amici? Macché! Non sa più che farsene dei godimenti, ecco la sua miseria; non ha più desideri, ecco il suo male. L’impotenza nella sazietà è la povertà dei ricchi; la povertà senza la speranza. In mezzo a coloro che noi diciamo felici, quanti si battono in duello per bisogno d’emozione, quanti affrontano i disagi ed i pericoli della caccia per sfuggire alle torture del riposo! Quanti, ammalati nella loro sensibilità, soccombono lentamente per misteriose ferite e s’incurvano a poco a poco, pur in mezzo ad un’apparente felicità, sotto il livello della comune sofferenza! Vicino a quelli che rifiutano la vita come un frutto amaro, ecco quelli che la respingono come un’arancia spremuta: quale disordine sociale rivela questo immenso disordine morale! E quale rude lezione per l’egoismo, l’orgoglio, per tutte le tirannie, da questa disuguaglianza nei modo di godere, che finisce con l’uguaglianza nel dolore! E poi, per ogni povero che impallidisce per fame, c’è un ricco che diventa pallido per la paura. < Non so – dice miss Wardour ad un vecchio mendicante che l’aveva salvata, - che cosa mio padre pensa di fare per il nostro liberatore, ma certamente vi metterà al riparo dal bisogno per il resto della vita. Aspettando, prendete questa bazzecola>. < Perché io sia derubato e assassinato di notte, mentre vado da un villaggio all’altro, o perché abbia sempre paura d’esserlo, il che non è, poi, molto meglio! Eh! Se mi vedessero cambiare un biglietto di banca, chi sarebbe poi così pazzo da farmi l’elemosina!>. Ammirevole dialogo! Walter Scott qui non è più un romanziere: è un filosofo, un pubblicista. Il cieco che sente risuonare nella scodella del suo cane l’obolo implorato, o il potente re che geme per aver rifiutato al figlio una rendita dotale: chi è più felice? Ma, quanto è valido nell’ordine delle idee filosofiche, lo è forse meno nell’ordine delle idee economiche? Ah, grazie a Dio, non c’è per la società né progresso parziale, né parziale decadimento. Tutta la società s’innalza o tutta la società decade. Le leggi della giustizia sono meglio comprese? Tutte le categorie sociali ne traggono profitto. Le nozioni della giustizia si oscurano? Tutte le categorie sociali ne soffrono. Una nazione, nella quale una classe è oppressa, assomiglia ad un uomo che ha una ferita a una gamba: la gamba ammalata impedisce ogni movimento alla gamba sana. Così, per quanto paradossale possa sembrare questa proposizione, oppressori ed oppressi traggono uguali vantaggi se l’oppressione è distrutta; perdono ugualmente se viene conservata. Se ne vuole una prova schiacciante? La borghesia ha stabilito il suo dominio sulla concorrenza illimitata, principio di tirannia: ebbene! Proprio per la concorrenza illimitata noi, oggi, vediamo perire la borghesia. Ho due milioni, voi dite; il mio rivale non ne ha che uno: nel campo chiuso dell’industria, e con l’arma del buon prezzo, lo rovinerò a colpo sicuro. Uomo vile ed insensato! Non capisci che domani, armandosi contro di te, con le tue stesse armi, qualche Rothschild senza pietà ti rovinerà? Avrai allora il coraggio di lamentarti? In questo abominevole sistema di lotte quotidiane, la media industria ha divorato la piccola industria. Vittoria di Pirro! Infatti subito essa viene a sua volta divorata dalla grande industria, che, costretta ad inseguire all’estremità del mondo dei consumatori sconosciuti, presto non sarà altro che un gioco d’azzardo, il quale, come tutti i giochi d’azzardo, finirà per gli uni con una frode, per gli altri con il suicidio. La tirannia non è soltanto odiosa, è stupida. Non v’è intelligenza dove manca la sensibilità. Proviamo dunque: 1. Che la concorrenza è per il popolo un sistema di sterminio; 2. Che la concorrenza, per la borghesia, è un motivo perenne d’impoverimento e di rovina.-Luis Blanc-
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ALL’ORTO
All’orto! All’orto!
La terra non si ribella?
Tutto accetta, supina soccombe?
Sdegnata si ritrae vergognosa?
Senza un pizzico di fantasia?
Senza alcuna umana utilità?
Veramente è persa la speranza?
Non più riposa saggio nel sogno?
Funziona bene il tubo digerente?
Rutta liberamente sazio il consumatore?
Sgomita sculettando il mercato spensierato.
Verdure genuine, verdure genuine!
-Renzo Mazzetti-