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Fra i due o tre film che rappresentano il vertice artistico del Far East Film 2014, e quindi capintesta della selezione giapponese, sta Be My Babydi One Hitoshi - l'esatto equivalente come importanza e rilievo, potremmo dire, di A Story of Yonosuke(Okita Shuichi) dell'anno scorso. E' una sarabanda di incontri/scontri/indifferenze amorose all'interno di un gruppo di giovani in perenne collegamento al cellulare.Il primo problema che si pone quando si comincia a riflettere su questo film è: come mai un'opera tutta fatta di dialoghi in una serie di interni strettissimi non trasmette affatto un’impressione di soffocamento? Il fatto è che lo splendido montaggio di Ozaki Yasuyuki l'allarga, creando in sintonia colla sceneggiatura un’impressione quasi tangibile di ampiezza spaziale virtuale attraverso il passaggio da un interno all’altro. Questo si articola attraverso analogie: a) di dialogo, b) di posizione fisica o di movimento dei personaggi, c) di pura somiglianza emotiva. Così i passaggi da un appartamento all’altro, giocati sul piano sonoro, su quello visuale e su quello semplicemente narrativo, producono un effetto di allargamento (qui gioca un suo ruolo anche la forma fortemente enunciativa delle didascalie di tempo) che supera la ristrettezza degli ambienti.Per noi spettatori, intendo, non per i personaggi: per loro questa ristrettezza disordinata (anche se naturalmente i giapponesi hanno una concezione prossemica meno esigente degli occidentali) è il tratto fondamentale. A tal proposito, mi sembra che la conclusione, che postula (ma postula soltanto!) una necessità di crescita, sia in qualche modo in relazione con i loro appartamenti mignon:la ristrettezza dell’appartamento come indice di giovinezza - ovvero di rifiuto a crescere, se pensiamo che uno dei personaggi principali dichiara di avere 27 anni.Attraverso una connessione filmica (il montaggio) e una connessione narrativa (il fatto che sono continuamente attaccati ai cellulari), i personaggi vivono in una dimensione collettiva che è quasi di eterna compresenza. Ciò aggiunge una vena di drammaticità alle loro (miserabili) storie: sono tutti insieme ma ignorano quasi tutto l’uno dell’altro; sono tutti insieme ma vivono una solitudine che deriva dall’incapacità a rapportarsi. Il tema del film è naturalmente la loro fragilità emotiva – con esempi del suo corrispondente auto-anestetico, cioè la freddezza. Anche su questo piano, è interessante - detto per inciso - che i maschi siano assai meno maturi delle ragazze.Direi che a One Hitoshi è riuscito quello in cui era fallita Sofia Coppola con The Bling Ring: cioè dare concretezza narrativa e perfino umana (escludendo il personaggio esagerato, benché ineliminabile, del foolOsamu) a un gruppo di protagonisti privi di qualsiasi qualità. Questo film ha un movimento circolare. Dopo gli shock della parte finale, non c’è alcuna crescita come superamento: questi shock producono rabbia infantile (Koji che scaglia il telefono) o ambiguità (il ritorno di suo fratello alla cornificazione della fidanzata) o un puro e semplice ritorno ai vizi di prima (il caricaturale, appunto, Osamu). E la sorpresa finale, che qui non occorre svelare, aggiunge un finissimo tocco di cinismo al film.
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