Proprio vero che in un film ci si può vedere tutto e il contrario di tutto.
Solo così riesco a spiegarmi l’estatica aurea di intoccabilità che avvolge questo film che miete successi da ormai un anno, a cominciare dal Sundance fino alla candidatura ai prossimi Oscar.
Purtroppo chi scrive fa parte dei pagani, di coloro che di fronte alle peripezie della piccola (e straordinariamente brava bisogna dirlo) Hushpuppy non sono rimasti folgorati dallo splendore della luce che questo film sembra emanare per qualcuno.
Lentissimo, di una lentezza che mette di cattivo umore, Beasts of the southern wild procede a singhiozzo, tra una natura matrigna e a volte banale e un’umanità borderline, fin troppo speciale ed irritante. Figlio di una schematica e spesso semplice divisione tra buoni e cattivi, gli strani sono il bene tutti gli altri il male, il film soffre di un’acuta forma di incompiutezza, mascherata da lirismo New age.
Ammesso e mai negato che la piccola protagonista sia l’anima del film, e probabilmente l’unica ragione che ne giustifica una visione, il resto della pellicola vive di momenti interessanti e di parecchie lungaggini, una parabola naturalista che non porta nessun materiale aggiuntivo ad una discussione che cinematograficamente va avanti fin dai tempi di Deliverance, con il suo indimenticabile duello a colpi di banjo.
Beasts of the southern wild ha tutti i pregi (pochi) e i difetti (tanti) di un’opera prima presuntuosa e spocchiosa, una pellicola che si pone al cospetto dello spettatore assordandolo con la sua vocetta stridula e il suo lirismo urlato, frutto di un freddo calcolo e non dell’amore per il cuore di coloro che se ne stanno in sala, al buio, in silenzio, in attesa di farsi trasportare altrove, dalle immagini di un incubo o dalla promessa di un sogno.
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VOTO
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