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Beati e corrotti

Creato il 19 marzo 2012 da Albertocapece

Beati e corrottiAnna Lombroso per il Simplicissimus

Sappiamo per certo che si svolgevano pantagruelici banchetti “con brindisi liberali e liberale schiuma di champagne”, ma, cozze o non cozze, non sarà stato solo questo il movente dell’invettiva di quel “prussiano” contro le misure illiberali del governo. “Non è la vergogna che fa le rivoluzioni”, tuttavia “la vergogna è già una rivoluzione in qualche modo… se un’ intera nazione esperimenta davvero il senso di vergogna è come un leone accovacciato pronto a balzare”, scriveva Marx.
C’è da chiedersi quanta vergogna dobbiamo ancora provare prima di spiccare il salto, e che qualità di vergogna sia decisiva, il caviale di Lusi, la stizza di Rutelli, l’astice di Emiliano, l’insana protervia di Monti, l’arrogante insipienza dell’uomo che coi nostri quattrini ha fatto della Fabbrica italiana un cacciavite al servizio di altri?
Non siamo sotto il re di Prussia, ma la tremenda commistione tra potere autoritario e dispotico, malaffare, corruzione, collusione, clientelismo, evasione, e lesione dei diritti e delle garanzie, razzia del patrimonio dello Stato, impoverimento dei suoi poteri, significa che non siamo nemmeno “sotto” la democrazia.

Ieri Rutelli schiumante di sdegno ripeteva: Ho dato di tasca mia. Cioè, è lecito sospettare, dalle risorse messe munificamente a diposizione di partiti sempre meno rappresentativi, potremmo dire “partiti per la tangente”? e Emiliano si assolve: Se sono stato un fessacchiotto è stato per colpa del berlusconismo.
E per colpa del berlusconismo infatti noi siamo qua ancora accovacciati, a lasciarli dire, drogati di tolleranza anzi, come Vendola, compitamente riconoscenti che graziosamente tra un sushi de noantri, un allargamento della vasca da bagno, una seconda luna di miele alle Maldive abbiano trovato il tempo di non commettere misfatti indecorosi ai nostri danni, che in fondo anche Rutelli, visto il sequel, non è stato il peggior sindaco degli ultimi 150 anni.

Per carità è vero che la questione morale non può ridursi al contesto giudiziario. Che l’etica e la gestione della cosa pubblica – e non lo dovrebbe fare nemmeno Mani Pulite – non devono accontentarsi di comportamenti leciti, ma esigere buona amministrazione nell’interesse generale. E è altrettanto vero che esiste un discrimine tra legalità e opportunità, tra lecito e inelegante, tra criminale e disinvolto. Ieri mi è stata impartita una edificante lezione sul tacito patto nazionale che renderebbe legittimo accogliere con festosa rinascenza l’omaggio in padania del prosciutto crudo e nel mezzogiorno delle cozze. E immagino che esista anche una simile distinzione territoriale anche per i prodighi donatori, che nel sud ne sono sicura sono più generosi perché se ci piacciono gli stereotipi si sa che i meridionali sono hidalgos dotati di magnificenza superiore agli oculati padani, se perfino l’ex premier concludeva le sue cene eleganti con regalucci criticati per l’esosità pacchiana dalle stesse beneficiarie.

Ma c’è da dar ragione al candido Emiliano, deve essere successo qualcosa di tremendo in tutti noi se ci è così facile accontentarci, se come d’altra parte ci stanno persuadendo a fare con i diritti, fingiamo di credere che l’onestà si possa esercitare per segmenti o per gerarchie. Che qualcuno più esposto alla corruzione possa essere assolto o compreso benevolmente, proprio perché sta più o più giù. Che si possa essere “per bene” in meticolose percentuali o porzioni. Diritti, onestà e trasparenza sono come la democrazia che il ceto dirigente del paese da molti anni ha contribuito a sfasciare, sono assoluti, non è che ne puoi rosicchiare qualche pezzetto, nemmeno per fame. E nelle aree superiori di fame non se ne vede, mentre invece il contagio si è propagato in una rete nazionale di illecito, di un vero e proprio sistema di arricchimento alimentato e coperto anche da norme specifiche, come quella sulla Protezione Civile. E i cui effetti vanno a colpire chi sta già male. La corruzione è “l’abuso dei pubblici uffici o delle funzioni pubbliche per scopo di arricchimento” di privati o/e di gruppi. L’obolo offerto in vista di un calcolato guadagno dagli uomini d’affari ai politici può andare sia nelle tasche di un singolo ministro sia in quelle di un partito, ma natura del fatto non cambia con l’identità dell’«utilizzatore finale».

Come un baro, il corruttore trucca il gioco e si arricchisce con e a spese di tre cose: il denaro dei contribuenti, le leggi e le norme, i potenziali competitori. Ma se il danno è sempre fatto a tutte e tre insieme le vittime (le finanze dello stato, le leggi, il mercato) risulta evidente che davvero la corruzione, che deturpa la società democratica impoverendo l’intera società, si accanisce sui più deboli, sottraendo risorse al welfare, creando incertezza e instaurando un clima perverso favorevole a arbitrio e discrezionalità.
Oggi il sentimento comune sembra essere l’indignazione, l’imbarazzo per attitudini e azioni altrui. Ma la vergogna deve essere “generativa di comportamento” mettere in circolo altri sentimenti come lo sdegno, la reazione e la colpa, agire direttamente sulla volontà. Deve trasformarsi in propositi razionali volti a rimediare il misfatto che l’ha generata. “Senza sdegno omai la doglia è stolta/Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti”. I veri burattinai dell’antipolitica ci vogliono persuadere che la collera sia populista, che sia meglio stare ai margini, delegare. Trasformano per noi il pensiero forte in pensiero-zero: meglio lasciar fare a gente pratica e occuparsi delle proprie personali miserie. Bisogna dimostrare che il leone non è addormentato e si sa riprendere la politica.


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