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Insomma, per farla breve la coincidenza mi ha incuriosito, e ho scoperto che nella notte italiana la "regina del pop" era morta a soli 48 anni, probabilmente a causa delle droghe da cui era dipendente da anni. Una morte tristemente annunciata, come quella di Amy Winehouse qualche mese fa, e anticipata negli ultimi anni da foto sui giornali scandalistici che la ritraevano in condizioni sempre peggiori.
La prima reazione è stata "non mi è mai piaciuta, Whitney Houston": lontanissima dalla musica che piace a me, esponente di un pop tutto lustrini e paillettes da cui sono sempre stato alla larga. Poi mi è venuto in mente che mille anni fa, ne avevo 13 o 14, mi comprai la cassetta del suo primo, omonimo album: orrenda copertina, con foto di Whitney african style su rudimentale sfondo arancio. Probabilmente lo ascoltai anche parecchio: c'erano "All at Once" e "The Greatest Love of All", gli unici titoli che letti ora mi ricordano qualcosa. La sua voce era davvero bella e potente e, riascoltato oggi, il genere era un soul patinato ma sincero, che si fa piacere più per le ballate che per i momenti ritmati. Un buon pop anni 80 cantato da una voce effettivamente fuori dal comune. Guardandone la copertina giurerei che mi comprai anche il disco successivo, quello che si apriva con "I Wanna Dance With Somebody" (rifatta anni dopo, con mia somma sorpresa, da David Byrne in un suo live al Tunnel di Milano e successivamente nel DVD "Live at Union Chapel").
Negli anni successivi Whitney si diede al cinema, divenne una diva planetaria e poco a poco sprecò la sua voce in canzonette senza arte nè parte, mal scritte e senz'anima, con l'apparente unico scopo di vendere più dischi e restare al vertice delle classifiche.
Non ci riuscì e, complice un matrimonio sfortunato e finito male, iniziò a consumare droghe in quantità industriale per sfuggire alla depressione. Ricordo un articolo letto qualche anno fa in cui si diceva che il crack l'aveva resa talmente paranoica da portarla a fare un buco nel muro del bagno, in modo che potesse controllare sempre la situazione. Voyeurismo a parte, una vicenda penosa, ennesima dimostrazione del fatto che la fama e i soldoni non danno la felicità. Bella scoperta.
Voglio credere che la "vincente" Whitney fosse un'artista vera che iniziò a perdere sè stessa quando decise, per calcolo o per incapacità, di gettare via il suo talento e darsi alla dance più insipida, facendosi scrivere pessime canzoni da pessimi autori. Fu allora che perse il soul, l'anima nera che la rendeva diversa quando cantava diciassettenne nei club. Il suo album più venduto resta proprio il primo, il più vero, a dimostrazione che non sempre i calcoli fatti a tavolino pagano; e chissà che non fosse proprio questa tardiva consapevolezza ad averle fatto imboccare una strada senza ritorno. R.i.P.
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