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Beetlejuice di Tim Burton

Creato il 03 luglio 2012 da Spaceoddity

Beetlejuice di Tim Burton

Un tempo c'era Tim Burton: c'era un tempo il ragazzo ribelle, reduce da film scanzonati e sinceri e perfino da preziosissimi cortometraggi, Poi arrivò il successo e arrivò per tutti, tra le braccia di Beetlejuice (1988, tit. or. Beetle Juice), il film con il quale in molti lo abbiamo conosciuto e cominciato ad amare.
Irriverente e beffarda parodia della vita dopo il trapasso, oltraggioso confronto tra la cecità dei vivi e quella dei morti, con l'avarizia degli uni e la sprovvedutezza degli altri, Beetlejuice è una vetrina sull'immaginario di Tim Burton e uno sconfinamento della fantasia degli spettatori oltre l'ignoto. La vicenda è quella di una coppia di sposini, Barbara (Geena Davis) e Adam Maitland (Alec Baldwin), che rimangono vittime di un incidente stradale, ma sono costretti a vedere ciò che accade nella loro casa alla loro scomparsa. Nuovi inquilini compresi. E non sarebbe Tim Burton se le situazioni tradizionali non venissero invertite e se i vivi non fossero (parecchio) più spaventosi dei morti: Charles (Jeffrey Jones) vuole soltanto riposare, mentre la sua antipaticissima seconda moglie Delia (Catherine O'Hara) vorrebbe trovare un po' del suo dorato bel mondo newyorkese in provincia e la figlia Lydia (un'ancora giovanissima Winona Ryder) si dibatte in quell'unica, immensa "camera oscura" che è la sua vita. In più c'è Otho (Glenn Shadix), personaggio piuttosto ambiguo nell'essere e nel fare, che complica un po' e la situazione.

Beetlejuice di Tim Burton
Adam e Barbara devono fare i conti con i nuovo coinquilini, dunque, se non fosse che non c'è modo che questi li vedano o credano alle "visioni" di Lydia, mentre i due giovani sono costretti ad assistere all'orrore della loro mentalità mercantile incredibilmente gretta. Gli sposini si rivolgono così a un demonietto che si propone per scherzi d'ogni sorta, Beetlejuice, appunto (un insostituibile, strepitoso Michael Keaton, da ascoltare senza dubbio in lingua originale): esperto di malefici ed esorcismi, è anche promotore di sé stesso, ma rimane un ripugnante spirito infernale, ancora più infetto dalla libido vivendi di quanto i suoi "datori di lavoro" possano immaginare (e meno che mai condividere). Senza contare l'opinione di Juno (Sylvia Sidney), la consulente tombale dei Maitland, che sconsiglia ai suoi assistiti di farvi ricorso...
In effetti, sebbene sembri paradossale, non c'è spazio per la morte in Beetlejuice. Non c'è neanche una vita, c'è solo un'invalicabile continuità astratta tra un'ingordigia nella vita e un'ingordigia di vita, tra l'ignoranza e la sicumera, senza passare neanche per sbaglio attraverso la fede o un più umana fiducia nel prossimo. Ambientato, come spesso accade in Tim Burton (vedi soprattutto Edward Mani di Forbice), su una collina isolata, nella più pura tradizione dark e horror (che vede in Winona Ryder un magnifico contrappunto),Beetlejuice è, come sempre, frutto di un genio urbano, ma non urbanus (che significa cittadino nobile, gentilizio, aristocratico - insomma - contrapposto a campagnolo). L'architettura del mondo dei morti è una copia squallida del mondo della nostra vita metropolitana e burocratica, correlativo oggettivo di metafore e similitudini di una serrata, quanto effimera dialettica politica e giornalistica (i suicidi che diventano impiegati statali nell'aldilà, e via farneticando).
Beetlejuice di Tim Burton
Beetlejuice è disarmante e a suo modo definitivo nel suo rifiuto di risposte: Tim Burton azzera tutto, propone uomini e donne che con difficoltà e malvolentieri accettano la propria morte reale (non teorica o a venire), ma che non ne hanno neanche paura. Per questi esseri in sospeso tra l'essere e lo sparire, tutto comincia e finisce nell'improvvisa consapevolezza: non c'è storia dietro di loro, gli eventi sono gags messe in scena (celeberrima a ragione la cena al ritmo di Henry Belafonte), che solo l'umore del momento e lo sfacciato camaleontismo dei suoi personaggi ricodificano in senso ora grottesco, ora esilarante, sempre a portata di ironia.


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