La trama (con parole mie): siamo sul finire degli anni settanta quando Liberace, pianista, personaggio televisivo e cinematografico di fama indiscussa, più o meno segretamente gay, conosce il giovane aspirante veterinario Scott Thorson, rimanendone conquistato e trasformandolo nel suo personale segretario. Tra i due si sviluppa un legame complesso e stratificato che li porta ad essere amanti, amici, padre e figlio e fratelli, destinato a durare per anni.Quando le voglie di Liberace e le debolezze di Scott cominceranno a separarli, la lotta tra loro diventerà senza quartiere, giungendo alle vie legali e ad una separazione certo non felice: soltanto in punto di morte il celebre musicista si avvicinerà una volta ancora a quello che fu non soltanto il suo protetto, ma di fatto l'unico grande amore di una vita vissuta nascondendosi dietro lustrini e costumi.
Steven Soderbergh è davvero un tipo strano, e senza dubbio un regista eclettico: nel corso della sua carriera, tra Palme d'oro e blockbusteroni commerciali, è riuscito a lasciarmi inorridito - indimenticabile, se così si può dire, il terrificante Knockout - così come a colpire a fondo, passando dai neuroni mandati in vacanza alle riflessioni sulla società.Mai, però, mi sarei aspettato una sorpresa gradita come quella costituita da questo Behind the candelabra, prodotto dalla HBO - ormai una garanzia di qualità - e nato come film tv decisamente superiore a quelli cui siamo abituati qui nella Terra dei cachi: tratto dal romanzo scritto dal protagonista Scott Thorson - un ottimo Matt Damon, in forma fisica strepitosa nonchè perfetto nel ruolo del tossico - incentrato sulla storia che legò l'uomo a Liberace - figura di spicco dello spettacolo made in USA per decenni - a cavallo tra gli anni settanta ed ottanta, Behind the candelabra rappresenta una delle più interessanti pellicole a tematica gay degli ultimi anni, in bilico tra la passione di Brokeback Mountain e le montagne russe di due decenni unici come i seventies e gli eighties nello stile di Boogie nights.La marcia in più dell'intero lavoro - oltre ad un approccio mai fuori luogo del regista - è senza dubbio l'interpretazione stratosferica di Michael Douglas, forse all'apice della sua intera carriera, in grado di portare sullo schermo un Liberace non solo credibile al limite dell'incredibile, ma perfetto nella sensibilità oltre che nella mimica e nella postura: accanto a lui il già citato Matt Damon ed un Rob Lowe mitico nel ruolo del chirurgo plastico sempre sopra le righe, a formare un terzetto - spalleggiato da Dan Aykroyd - che funziona come un'orchestra in grado di trovarsi a memoria ad ogni raccordo di una sinfonia diretta nel migliore dei modi.Il rapporto tra Scott e Liberace, sicuramente singolare e sfaccettato più di quanto noi spettatori - e chiunque, a parte loro stessi, l'abbia vissuto dall'esterno - saremo mai in grado di capire, è narrato con partecipazione e pari sensibilità sia dalla parte dell'affermato, più vecchio ed insaziabile pianista che da quella del giovane di belle speranze colto alla sprovvista dall'interesse che un personaggio pubblico quasi leggendario comincia a nutrire nei suoi confronti: da questo punto di vista la loro storia d'amore risulta senza dubbio più complessa rispetto a come potrebbe essere intesa, e dagli esempi che videro nell'Antica Grecia Maestri innamorarsi dei loro allievi a quelli che ogni padre vive rispetto a suo figlio la dimensione dell'amore che i due provarono risulta senza dubbio unica e profonda, a prescindere dal fatto che si fosse trattato di uomini adulti.Il Liberace privato, inoltre, raccontato attraverso gli occhi di chi potè viverlo "dall'altra parte del candelabro", apre spiragli su un'epoca - molto lunga e mai del tutto superata - in cui l'essere gay poteva rappresentare, per una personalità di successo della Musica o del Cinema, una sorta di suicidio artistico e sociale, e che soltanto l'impatto terrificante dell'AIDS pose come questione di fronte all'opinione pubblica mondiale: la fine di Liberace - una scena struggente e malinconica, quella del suo ultimo dialogo con Scott, lato oscuro di quello che fu una vita di lustrini, parrucche, lotta contro il Tempo e l'età nonchè figlia di una sorta di condizione da succube di una madre e di una società ritratto di quanto di più lontano vi fosse da una sensibilità spiccata e prepotente quanto vivace e curiosa - segnò l'inizio del cammino che speriamo, in un futuro, possa portare ognuno di noi - artista oppure no, conosciuto o perfetto uomo o donna qualunque - a vivere la propria essenza senza pensare che Dio o - peggio - chi pensa di rappresentarlo al meglio da queste parti possano mettere bocca in questioni che riguardano soltanto un Uomo ed il suo cuore.Quando e se così sarà, allora avremo davvero tutti una possibilità di salvare o di essere salvati.E non ci saranno più candelabri dietro ai quali nascondersi.
MrFord
"In my place, in my place
were lines that I couldn't change I was lost, oh yeah
I was lost, I was lost
crossed lines I shouldn't have crossed I was lost, oh yeah."Coldplay - "In my place" -