“Bel Ami è un libro davvero incedente“. Dopo aver letto il lapidario giudizio del grande Tolstoj a molti sembrerà conseguenziale riporre subito sullo scaffale il romanzo pubblicato da Guy de Maupassant nel 1885, ma il fatto è che questa storia è imperlata di lucido realismo e pare scritta paro paro negli ultimi anni, in Italia: siamo al cospetto di un romanzo modernissimo, che va dritto al cuore di uno dei nervi scoperti della nostra società: il ruolo. L’etica e la stessa funzione del mestiere del giornalista, quale punto di contatto tra la gente comune, la politica, gli interessi forti della società, e prima ancora dell’uomo moderno con il proprio ego, la vanità, l’essenza di quello che riusciamo a realizzare in questa vita terrena. Dal fatto poi che una storia scritta 130 anni fa ci regali uno spaccato molto ma molto realistico dell’attuale situazione culturale ci sembra di poter ricavare la grandezza e la lungimiranza di questo scrittore, morto presto, dopo essere stato internato nella clinica Maison Blanche di Passy ed aver cercato a più riprese il suicidio.
Bel Ami è un romanzo, questo, che ci catapulta con inesorabile violenza al cospetto della misera Italia degli ultimi anni, così che il pensiero spazia libero sulle nostre “teste pensanti”, su ciò che vuol dire la ricerca smodata del successo, a tutti i costi, come nell’apogeo dell’Italietta Berlusconica, che poi è solo l’aspetto più eclatante del fenomeno; siamo ormai abituati ad effetti collaterali che portano a disconoscere completamente la realtà oggettiva, a smarrire qualunque criterio di onestà intellettuale, per chi vuol fare carriera, per chi ha bisogno dei rapporti, per chi sa come si deve andare avanti. Persino il calcio, e una misera partita di pallone fatta di mille imponderabili episodi, sono oggetto, nel nostro piccolo Paese, di improbabili operazioni lifting interpretativo a pro di questo o quell’interesse più o meno squallidamente celato.
Ma torniamo al romanzo: abbiamo una storia intensa, che ha ritmo, e che nel riprendere uno dei temi classici della letteratura, l’ascesa sociale del giovane privo di mezzi, fa pensare, e molto, perché i personaggi, tutti, e in particolare il protagonista, Georges Duroy (Bel Ami) sono completamente privi di coscienza morale, tesi solo al perseguimento del proprio obiettivo, ossia la scalata sociale e la ricchezza, l’affermazione di sé stessi in quanto migliori, persone a cui il potere spetta quale logico risultato di un quid di supremazia sulla collettività gretta e mediocre; omini chiusi come sottovuoto in un emisfero che ti giudica solo per quello che sai ottenere, senza stare troppo a sottilizzare su come ci sei arrivato.

In Maupassant, come spesso in Balzac, abbiamo storie di personaggi che vivono in un certo modo, si potrebbe dire rincorrendo il piacere e secondo la ferrea legge sociale del più forte. Ebbene, Bel Ami non lascia scampo alcuno: una volta entrato nel sistema ricorre a qualunque mezzo, sfrutta in modo spregevole le proprie chance, anche di natura sentimentale, poiché ha molto successo con le donne, e così sfrutta il proprio fascino per fare carriera, il che è una cosa riprovevole, ma fa pensare il fatto che questa cosa se realizzata nel campo femminile normalmente non sia considerata particolarmente scandalosa. Bel Ami, ad esempio, ci sembra meno spregiudicato di Emma Bovary (del grande Flaubert)…che sposa un uomo buono a cui non tiene e che disprezza. L’eroe negativo di Maupassant invece si muove invece in un contesto completamente decadente, in cui alla fine primeggia sugli altri che si muovono allo stesso identico modo, a partire dalla stessa moglie, Madeleine Forestier, in un mondo totalmente privo di morale quale è quello della politica e dell’informazione, un mondo che si apre alla borghesia ed ai nuovi poteri forti, un mondo che dovrebbe realizzare il punto di riferimento per la società ed invece è intimamente corrotto e deviato, schiavo solo del dio denaro e del potere, dell’affermazione. Ebbene, si tratta però di una splendida e lungimirante fotografia della società moderna, ci sembra uno specchio addirittura di ciò che sarebbe avvenuto con la caduta delle ideologie.
L’opera, assai ricca da questo punto di vista, è completata da uno stile davvero pregevole: ritmo, intensità, una trama mai banale, dei personaggi convincenti quanto realistici, inanellata da tasselli che presentano tutti un’intima coerenza interna. Insomma ci sentiamo di dire che, con buona pace di Tolstoj, questa lettura vale proprio la pena, anche perché non è poi vero che il tessuto di questa fitta trama sia così vacuo: in più di un passaggio aleggia tenebroso il pensiero della morte, come a decretare, tra una riga e l’altra, l’inutile, alla fine, affaccendarsi di questi personaggi, o forse, più semplicemente, a spiegare questo gran tramestio di vicende umane alla ricerca di veri e propri antidoti rispetto a un pensiero che fa paura, che se solo ti ci soffermi un attimo cominci a percepire la fugacità delle cose.
Antonio Mastroberti
