E' di nuovo crisi tra Serbia e Kosovo, a riprova che nei Balcani nulla è mai scontato e niente, ancor meno, può mai essere dato per certo. I negoziati “tecnici”, che con l'alto patrocinio di Bruxelles, stavano cercando di risolvere alcune questioni pratiche lasciando da parte, per ora, la questione dello status della (ex) provincia serba, non sono serviti, evidentemente a cambiare il clima e i primi, timidi segni di “disgelo” sembrano essere durati giusto il tempo di una primavera, forse meno. Il 20 luglio scorso le autorità di Pristina hanno deciso, infatti, per la prima volta dalla fine della guerra, di autorizzare le dogane a respingere le merci serbe in entrata in Kosovo e ad incrementare del 10% le tasse doganali come ritorsione all'embargo imposto da Belgrado a quelle kosovare dopo la dichiarazione di indipendenza, nel 2008. Lo stop all'importazione riguarda anche le merci provenienti dalla Bosnia (la Serbia esporta in Kosovo beni per 270 milioni di euro l'anno, mentre la Bosnia per circa 80 milioni).
Secondo il ministro del Commercio kosovaro, Mimoza Kusari-Lila, l'embargo sulle merci serbe è "un'applicazione del principio di reciprocità commerciale che dovrebbe vigere tra due stati" ed è stato adottato "nell'ambito dei diritti costituzionali, dopo che è saltato il raggiungimento di un accordo con la Serbia sul libero mercato durante i negoziati in corso a Bruxelles". Secca la replica del sottosegretario del ministero serbo per il Kosovo, Oliver Ivanovic, secondo cui la decisione di Pristina viola il fondamento dei negoziati bilaterali e rappresenta un'azione unilaterale che può mettere a repentaglio la validità degli accordi che sono stati raggiunti sino ad ora, in materia di libera circolazione, registri anagrafici e riconoscimento dei titoli di studio, nessuno dei quali, va detto, ha trovato finora applicazione pratica. Intanto, il primo effetto della decisione dei kosovari è stato il rinvio a settembre del sesto round negoziale che avrebbe dovuto svolgersi in questi giorni a Bruxelles e che tra le varie materie avrebbe dovuto affrontare anche quella dei rapporti commerciali.
Il presidente serbo Boris Tadic ha condannato il blocco delle merci giudicandolo "un gesto inaccettabile e ostile" e denunciando il “grave errore” degli "sponsor internazionali" che sostengono la decisione di Pristina, giudicata una provocazione per la Serbia oltre che una mossa “immorale, assurda e contraria ai principi" dell'Unione europea. L'Ue, da parte sua, ha cercato nei giorni scorsi di gettare acqua sul fuoco. All'indomani della decisione di Pristina e dopo le dure reazioni arrivate da Belgrado, la portavoce dell'Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, si è detta "fiduciosa" che si possa trovare una soluzione attraverso il dialogo tra le parti. Gli eventi di queste ultime ore, però, suonano come una smentita dell'ottimismo, un po' obbligato, espresso a Bruxelles.Un tentativo di smorzare le tensioni è arrivato, va detto, anche dalla parte serbo-kosovara o, almeno, dal , vicepresidente del parlamento kosovaro e rappresentante della minoranza serba, Petar Miletic, che dalle pagine del quotidiano Danas, lunedì 25, ha affermato che i camion serbi saranno lasciati passare, dopo il colloquio con il ministero del Commercio che avrebbe dato garanzie in tal senso. Una possibilità smentita però dal ministro Mimoza Kusari-Lila. "Vigileremo al fine di evitare ogni violenza, ma non ci sarà alcun ritiro" ha aggiunto, da parte sua, il ministro dell'Interno, Bajram Rexhepi.
E per rafforzare l'embargo alle merci serbe imposto la scorsa settimana, il governo di Pristina ha pensato bene di dispiegare forze di polizia a controllo dei punti confine nel nord del Kosovo, nella regione a maggioranza serba. Una mossa che ha provocato la protesta degli abitanti serbi che si sono radunati spontaneamente presso i checkpoint presidiati dalla polizia kosovara, obbligando le truppe della missione Nato (Kfor) ad adottare le misure necessarie a calmare la situazione, come ha riferito un portavoce all'agenzia Tanjug. La mossa di Pristina non è piaciuta affatto a Bruxelles: l'Ue ha infatti espresso tutta la sua disapprovazione per un'iniziativa definita "non utile", mentre il Direttore generale della polizia kosovara, il comandante Reshat Maliqi, si è dimesso per non essere stato informato della decisione del suo governo. Vista la presa di posizione di Bruxelles le autorità kosovare hanno deciso allora di fare marcia indietro e, dopo un accordo tra i rappresentanti di Belgrado, Pristina e della Kfor, gli agenti hanno cominciato a ritirarsi. La situazione resta comunque molto tesa, ha detto il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, che si è recato nella zona con Borko Stefanovic, capo del team negoziale di Belgrado. "La decisione delle autorità albanesi è priva di senso", ha aggiunto Bogdanovic, informando che il presidente Boris Tadic e il premier Mirko Cvetkovic "hanno contattato la Commissione europea, l'Onu, e la Nato" per riferire della situazione.
In questa situazione appare assai ottimista l'ipotesi che entro la fine del 2012 il Kosovo possa uscire dalla supervisione internazionale, come scritto dal portale Balkan Insight che cita "fonti molto ben informate" secondo cui l'Ufficio civile internazionale (Ico), guidato dal diplomatico olandese Peter Feith, sarebbe pronto a chiudere i battenti entro quella il prossimo anno. In effetti, in una riunione dell'International steering group (Isg), l'organismo formato dai 25 Paesi che sostengono l'indipendenza che il Kosovo e che finanzia l'Ico, era emersa pubblicamente l'intenzione di ridurre progressivamente il ruolo dell'Ufficio, che ha l'incarico di applicare, in coordinamento con il governo di Pristina, il “Piano Ahtisaari” su cui si basa l'indipendenza kosovara e l'organizzazione istituzionale del nuovo stato.
Il portavoce dell'Ico, Andy McGuffie, ha confermato che in effetti "l'Isg ha autorizzato l'Ico a lavorare in concerto con il governo kosovaro per iniziare a preparare la sua chiusura", e l'Ufficio civile internazionale ha già smantellato nei mesi scorsi il suo dipartimento economico e diversi uffici regionali. Nonostante ciò "il premier kosovaro Hashim Thaci ha detto (..) che non vi sarà un termine arbitrario", ha precisato Mc Guffie. Resta il fatto che uno dei principali obiettivi fissati dal Piano Ahtisaari, non ancora realizzato dall'Ico, è quello di istituire nella zona a maggioranza serba che si rifiuta di riconoscere l'autorità kosovara, una amministrazione legata a Pristina, ma autonoma. A complicare la situazione c'è infine il fatto che Belgrado non ha mai voluto riconoscere l'Ico, giudicandolo non neutrale rispetto all'indipendenza del Kosovo, contrariamente alla missione civile europea (Eulex).
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