L'Aquila che c'era in un modo, e ora c'è in un altro. E quel vecchio modo sembra difficile da recuperare.
L'Aquila e i suoi dintorni, che sono simboli della devastazione. Che sono simboli di anime distrutte.
L'Aquila e i suoi dintorni e le anime distrutte si trovano in questo libro.
Un testo struggente e bellissimo.
Ho letto in giro che Bella mia è un romanzo sulla distruzione e, specialmente, sulla ricostruzione.
In Bella mia è impossibile non respirare un'aria che sa di nostalgia, che sa di radici profondamente ancorate a una terra che, improvvisamente, è stata deturpata da una catastrofe. E' impossibile non perdersi tra i vicoli della zona rossa, dove le facciate cadono a pezzi e dove non ci si potrebbe intrufolare, ma lo si fa lo stesso perché la maggior parte dei pezzi del proprio cuore è in quelle case transennate.
Il cuore. Come le porcellane nelle credenze, anche il cuore è caduto in pezzi, nel bel mezzo di quelle scosse di terremoto del 2009. I suoi frammenti rossi coprono il centro storico e hanno cambiato la vita. Hanno cambiato le vite.
"Stanchi di aspettare la ricostruzione, alcuni confessano che vogliono rimanere a Coppito tre per sempre, ormai sono assuefatti a questa periferia artificiale, alla mancanza di servizi
"Quando ti hanno assegnato questa baracca di lusso si aspettavano proprio che ti abituavi e smettevi di insistere per ricostruire la città.""
Ma però c'è la voglia di ricominciare, di riprendere. Di superare, in qualche modo, un periodo che definire difficile sarebbe limitativo. Quindi c'è speranza che si trasforma in concretezza e, qualche volta, in contentezza.
Sì. Bella mia è un romanzo di distruzione e ricostruzione. Anche se la ricostruzione rimane più spirituale che edilizia. Ma questo è un altro discorso, che dovrebbe essere fatto e ascoltato in altre sedi.
Però non è tutto qui.
Mi sembra estremamente limitativo confinare un romanzo così denso e potente come Bella mia al terremoto e a quello che ne è conseguito, sia fisicamente che psicologicamente che spiritualmente. Perché poi il rischio è questo. Di sminuire quanto è stato scritto in queste pagine.
Certo, il terremoto è centrale, ma non è solo di questo che Donatella Di Pietrantonio scrive.
Anzi.
Bella mia è un grande romanzo sulla maternità. Una maternità capitata per caso. Una maternità di cui non si sentiva la necessità. Una maternità che la protagonista non vuole, non voleva e pensa di non volere mai. Eppure, il nipote adolescente che le piomba in casa questo fa: crea una famiglia. Con tutte le gioie e i dolori che ci vanno dietro.
Caterina, la voce narrante, non sa di essere diventata una mamma, secondo me. Crede che quel rapporto non sia un rapporto genitore-figlio. E infatti non lo è del tutto, ma lo è abbastanza.
Spesso Caterina prova una sensazione di non-amore, quasi di risentimento per quel capellone che lascia le scarpe in giro per casa e che combina bravate e guai. Di frequente Marco è solo sorgente di ricordi più felici, o comunque distanti.
Ma c'è una cosa che Caterina non sa, e cioè che un figlio proprio questo è: ricordi e amore (certo, amore), ma anche tanto non-amore.
E' anche un romanzo sull'imparare a contare su se stessi.
Perché la protagonista era abituata ad appoggiarsi alla gemella. Ma ora la gemella non c'è più, e lei che era la meno sicura delle due, la più introversa, deve farsi carico di madre, ricostruzione e nipote adolescente.
Il terremoto le ha completamente stravolto la vita e l'ha messa di fronte a delle verità che forse prima non era in grado di vedere. O comunque non voleva farlo. Ma ora...
Poco tempo fa ho letto Gli innamoramenti. Ecco, Bella mia me l'ha ricordato, perché nel romanzo di Marìas si parlava del fatto che quando muore qualcuno, la vita finisce per Quel qualcuno, non per te.
Ecco, questo è un punto focale del libro della Di Pietrantonio, perché i protagonisti di questa storia devono riuscire a capire proprio l'idea enunciata nel libro dello scrittore spagnolo. Devono capire che la vita, per loro, continua.
E poi, ok, la scrittura è stupenda. Stupenda! Con la S maiuscola.
Anzi. STUPENDA. Con tutte le lettere maiuscole.
Perché c'è grande saggezza nella scelta delle parole, parole che non sono casuali, non possono esserlo. La loro forza è così vitale e traboccante che si intuisce quanto lavoro ci sia dietro.
Bella mia è una meravigliosa narrazione.
Una meravigliosa esperienza.