Col cinema italiano ho un po' di problemi, si sa. Ma è una cosa dalla quale sto cercando di guarire in più modi, andando incontro a grosse delusioni. A differenza di molti però non vado a dire che il cinema italiano è merda a prescindere, ho le mie motivazioni specifiche: ovvero la mancanza di argomenti. Gli americani hanno i film drammatici, la fantascienza, i thriller, i supereroi, e lo stesso vale per la Francia o la Corea del Sud, insieme ad altri paesi. Ma noi italiani? Sempre a fare commedie, a parlare di giovani in via di formazioni o di meridionali depressi (e in quest'ultimo caso mi viene un razzismo che non mi si confà) oltre che di famiglie disagiate. Manca il cinema di genere, manca un cinema rivolto ai giovani che possa appassionare anche gli adulti, manca la diversità di espressione. Ma soprattutto, abbiamo pseudo vegliardi che cercano di parlare di chi ha qualche decade in meno di loro, come accade in questo Bellas mariposas...
Siamo nella periferia Cagliari, in Sardegna, e seguiamo la vita dell'undicenne Caterina. Lei vive in una piccola casa col padre finto invalido che non lavora, la madre veramente invalida che lavora per poter arrotondare, tanti fratelli uno più disastrato dell'altro, i figli della sorella maggiore e un quartiere che sembra destinato a morire. Le cose si complicano quando il suo fratello più grande decide di uccidere Gigi, un ragazzetto vagamente sfigato al quale lei ha deciso di destinare il suo amore...Forse crescere in una regione vagamente agiata come il Trentino mi ha reso culturalmente debosciato. Ma capitemi, sentire fin da piccolo battute a raffica sui meridionali ti porta a pensarla in un certo modo e, nonostante abbia molti amici terroni che mi fanno ricredere quotidianamente sullo stereotipo comune, le quotidiane notizie di cronaca mi portano a una certa non piacevole convinzione - nel pensare certe cose a mente fredda, mi sento incredibilmente sporco. L'immersione nella vita di questa ragazzina sarda quindi non avviene in maniera propriamente indolore, questo sia per delle scelte culturali che registiche volute dal regista e sceneggiatore Salvatore Mereu. Tutto inizia con uno spiegone che domina gran parte del primo tempo della protagonista Cate, che in più di un'occasione si mette a parlare direttamente col pubblico descrivendo questo microcosmo di squallore. Il padre che si fa le seghe portando la tv in bagno, le ragazzine troie, i tamarri di borgata e molti altri esempi sono mostrati in tutto il loro squallore, e se a una prima visione ti viene da pensare che la Sardegna sia un bruttissimo posto dove passare le vacanze estive, quando senti che la giovane narratrice sogna di diventare una cantante come Valerio Scanu e Marco Carta (sardi pure loro) allora sì che un buon motivo per diventare razzista ce l'hai. Togliendo però questo fanboysmo musicale e questa prima parte un po' traballante, il resto prosegue con un ritmo abbastanza costante, anche se i punti di domanda aumentano sempre di più. Questo concentrarsi solo sulla visione ristretta e sulle preoccupazioni puerili della piccola protagonista e della sua amica, in quella che sarà la giornata più lunga delle loro giovani vie, impone una concentrazione fin troppo assente su quello che è il contesto in cui vivono, lasciando però trasparire una non ben specificata voglia di denunciare un sistema, anche se il poco spazio riservato fa cadere questa volontà nel vuoto. Anche la mancanza di un vero canovaccio narrativo si fa ben sentire, e rischia di creare molti momenti uattaffacca nell'animo di un gran numero di spettatori, che non capiranno alcune scelte narrative (come il far parlar alla macchina da presa non solo la protagonista ma, verso la fine, anche la sua amica di merende) insieme ad alcuni discorsi dialettali. Che se dicono su al modo di parlare dei malgheri, allora non state a sentire i sardi sennò vi sanguineranno le orecchie. Si arriva però alla fine in una maniera più indolore del previsto, anche se quello che si ottiene al termine della visione è un senso di vuoto che non riesce a giustificare quanto fatto. Che cosa ho visto? Cosa ha voluto dirmi questo film ai limiti del verboso? Non lo sapremo mai. Avremo solo l'immagine di queste belle farfalline (questa la traduzione del titolo del film) che colgono quanto di bello c'è in un posto che di bello sembra non avere nulla, come delle vere farfalle che si appoggiano su un fiore che cresce in mezzo alla merda. Ma sembra un discorso un po' vago per costruirci sopra una storia così pretenziosa e a tratti anche insulsa, specie se poi gli interpreti non sono decisamente all'altezza delle aspettative vista la loro natura palesemente non professionale. E infatti il cammeo di Micaela Ramazzotti giungerà come una secchiata d'acqua nel deserto.Alcuni vista la natura estremamente low-cost e gli attori presi dalla strada hanno parlato di una certa affinità col neorealismo del cinema che fu. Ma quelli erano gli anni Quaranta e Cinquanta, c'era stata la guerra e il mondo doveva raccontare un realtà che tutti vedevano. Adesso però il secondo millennio è iniziato da un bel po', è c'è urgente bisogno di rinnovarsi. Questo film arriva fuori tempo massimo.Voto: ★★½