Belli di papà
di Guido Chiesa
con Diego Abantantuono, Antonio Catania, Matilde Gioli
Italia, 2015
genere, commedia
durata, 100'
A
voler guardare le cose da un’unica prospettiva ci sarebbe di che
preoccuparsi; perché apprendere che uno come Guido Chiesa, capace di
imparare il mestiere da gente del calibro di Jim Jarmush e Amos Poe e,
in virtù di questo, di girare film che di quei maestri ne possedevano il
rigore e la mancanza di compromessi, sia oggi il principale artefice di
un prodotto tutto sommato convenzionale e facile come “Belli di papà”
non può non far pensare all’ineluttabilità con cui certi meccanismi
produttivi finiscano per mortificare le aspirazione dei più volenterosi.
Se invece proviamo ad allargare lo sguardo ad altre possibilità che non
siano quelle di un cinema duro e puro, magari rifacendosi a quel modo
di fare che Chiesa ha conosciuto negli States e che consente
anche agli autori più apprezzati di quel paese di concedersi a
operazioni di pura speculazione commerciale, allora la faccenda cambia.
Perché in questo caso i discorsi intorno al film in questione non
dipendono più dal suo grado di parentela che questo con la precedente filmografia del regista quanto piuttosto dalle modalità con cui l’autore riesce a mantenersi fedele all’onestà del suo sguardo.
Così,
con il film ancora ai nastri di partenza la questione principale per
Chiesa era quella di non perdere la faccia di fronte ad un modello
produttivo che applicava a memoria il format utilizzato da buona
parte delle nostre commedie, e che prevedeva tra le altre cose una
storia a dimensione privata, incentrata sui risvolti sentimentali
scaturiti dalle dinamiche interne a un gruppo ristretto di persone; e
ancora un ambientazione che nella necessità di usufruire degli incentivi
economici offerti dalla Apulia film commission si preannunciava
come l’ennesima rappresentazione del presepe pugliese. Entrando nei
dettagli, “Belli di papà” esibiva un copione incentrato sulle
vicissitudini di Vincenzo, imprenditore milanese che nell’intento di
dare una lezione ai figli indolenti e viziati finge di trovarsi in
bancarotta e con la scusa di dover fuggire dalle grinfie della finanza
di obbligare la famiglia di riparare a Taranto dove i ragazzi si devono
confrontare con i sacrifici e le
complicazioni della vita lavorativa.
Detto
che - incredibile ma vero - i personaggi e le situazioni presenti nel
canovaccio di “Belli di papà” non sono il frutto di un’idea originale ma
piuttosto l’adattamento di uno sconosciuto film messicano, bisogna dire
che il lavoro effettuato da Chiesa per dotare il film di una propria
identità può considerarsi riuscito. E questo perché, se è vero che
“Belli di papà” non è esente dai difetti tipici di un prodotto costruito
per andare incontro ai gusti di un pubblico generalista, e quindi a
quelle semplificazioni fatte di clichè e di stereotipi che gli
consentono di raccontare situazioni e personaggi immediatamente
riconoscibili, allo stesso tempo la regia di Chiesa riesce a dare spazio
ad alcuni segni di distinzione che vale la pena di citare; primo tra
tutti quello di una scelta paesaggistica meno scontata del solito, in cui il buen ritiro della masserie pugliesi e gli scorci
balneari delle coste salentine vengono sostituite da abitazioni
in rovina (per esempio la casa natale di Vincenzo decadente e
decrepita) e da un degrado urbano che per il fatto di trovarci a Taranto
sembra riflettere sulle conseguenze dei danni provocati dalla sconsiderata gestione
dello stabilimento dell'Italsider, non a caso presente con le sue
ciminiere sullo sfondo di alcune
inquadrature.
E, sullo stesso piano, per esserne la diretta
conseguenza del primo, la presenza di una fotografia che diventa
espressione di questa precarietà; con le luci contrastate e lo spessore
dei
colori che attenuano non poco l’ottimismo e la joie de vivre normalmente attribuite all'iconografia meridionale. Chiesa scegli dunque una strada meno folklorista e più
cinematografica, forte anche della prestazione di un attore mostre
come Diego
Abatantuono che nel mix di istinto e tempi
comici si conferma tra i pochi capaci di avvicinare la tradizione della
grande commedia all'italiana. Il film meriterebbe solo per lui ma se si
è
disposti a cercare il divertimento e il buon umore stanno anche altrove.