Fughiamo subito ogni dubbio: senza la simpatia spontanea di Diego Abatantuono e Antonio Catania, Belli di papà non avrebbe meritato troppi elogi. Soprattutto perché è nascosta in maniera troppo goffa la necessità di onorare l’impegno con la Film Commission pugliese: valorizzare il territorio, Taranto e provincia in particolare. Dobbiamo comunque aggiungere, a onor del vero, che seppur in forma di bozzetto un po’ grezzo e adatto a un palato senza troppe pretese, questo Sud è raccontato con un apprezzabile equilibrio tra aspetti positivi e negativi: la voglia e la necessità dei giovani di lavorare contro il tipico istinto a fregare il forestiero ingenuo; la città vecchia diroccata che “sembra Baghdad” (perché, la periferia delinquente milanese a cosa assomiglia?) contro il piacere di contemplare il mare e mangiarne i frutti. I meccanismi che reggono questi contrasti, però, sono fin troppo rodati, ormai usurati, a partire dall’evento che mette in moto la storia: un contro-viaggio della speranza dalla Milano da bere alla Taranto da sudare. Diego Abatantuono / Vincenzo, infatti, è un padre vedovo con tre figli per niente avvezzi al lavoro. Sacrificio o dedizione, impegno o sconfitta sono sentimenti e situazioni che raramente sono riusciti a vivere, sciolti come sono nell’agio di una vita di rendita. Che fare per svegliarli? Fingere che l’azienda di famiglia sia in bancarotta e costringerli a sporcarsi le mani trovandosi un lavoro in una città che, apparentemente, non ha nulla da offrire.
Messe le carte in tavola, tutto quello che succede poi non ha la forza di discostarsi o distinguersi dai luoghi comuni del genere: cambiamenti nei caratteri dei protagonisti, necessari ma già troppo attesi; reciproci insegnamenti genitori-figli che possiedono comunque un certo grado di profondità ma che non feriscono abbastanza perché tutto è riportato diligentemente dentro i confini di una rassicurante routine – più rassicurante della stessa realtà. Forse non possiamo pretendere di più da una commedia con ambizioni conservative come tante altre, conciliante, che non sia seriamente all’italiana, sperando che questa dicitura possa ancora attribuirsi a quello che ha egregiamente rappresentato in passato e che, per esempio, sembra aver intravisto in un film come La gente che sta bene, dove lo stesso Abatantuono recitava la parte di uno stronzo molto, molto convincente. Trascurabile, infine, la comparsata davvero posticcia di alcuni membri del collettivo Nirkiop, youtuber tarantini che ci ricordano, involontariamente: per recitare conta più il talento delle visualizzazioni o del product placement Microsoft.
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