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Giunto alla sua seconda opera autoriale il regista del meraviglioso "Another Earth" infatti alza di molto l'asticella, avventurandosi in un conflitto irrisolvibile e ultra-manipolato, forte esclusivamente dell''aiuto del genere fantascientifico di cui è solito e appassionato. A fare da sfondo una storia d'amore, scoppiata come per magia, tra uno scienziato e una donna fortemente aggrappata e dedita alla spiritualità: due anime praticamente opposte che però sembrano essere speculari per stare insieme all'infinito, o fino a quando – perlomeno - una sceneggiatura densa e scaltra come quella di "I Origins" vuole che al romanticismo vada a contrapporsi la fatalità, o quel surrogato incomprensibile e privo di senso che scombina ogni nostro piano per mettere in moto determinati ingranaggi utili a farci compiere giri immensi e cambiarci, a lungo termine, sino all'interno. Ed è proprio qui che "I Orignis" allora rischia di bruciarsi, quando senza se e senza ma decide di ammettere fiero l'appartenenza al suo schieramento sbriciolando con nonchalance quel che sorregge il suo esatto opposto. Corre l'azzardo di mandare all'aria l'atmosfera incredibile e affascinante di una pellicola spezzata distintamente in due parti, dove la prima è condotta in sostanza dalla pancia e dall'amore e la seconda è bilanciata e appesantita dalla testa e dalla ragione.
Come in "Another Earth" si serve della disgrazia, Cahill, per compiere una cesura e spingere a un secondo livello i suoi discorsi, andando a rimettere in gioco - attraverso l'occhio e la sua iride - le tesi e i punti fermi di un Michael Pitt che nel suo lavoro gioca a fare Dio ma che, allo stesso tempo, né contesta l'esistenza perché mai stata provata scientificamente. Nonostante ciò e tuttavia, il regista dimostra con grande coerenza e ostinazione di voler portare avanti una linea di pensiero che in precedenza si era concesso appena il lusso di accennare, meno esplicita fino ad ora, quindi, ma comunque perfettamente in linea con quelle vedute e quelle tendenze che il suo cinema non smette di inseguire e di esplorare. Perché uno dei meriti che vanno senz'altro riconosciuti a Cahill, in questo frangente, è senza ombra di dubbio quello di assumersi ogni tipo di responsabilità consequenziale alle affermazioni che il suo lavoro esprime e protegge: rinnegando quel colpo al cerchio e alla botte che probabilmente lo avrebbe esposto meno e salvato di più, e sostenendo il pericolo che per convincere l'altra metà degli spettatori inclini all'opposto della sua filosofia servirà assai di più che un finale da brividi, costruito a regola d'arte.
Esce perciò sicuramente molto esposto Cahill da questo suo viaggio personale, e probabilmente l'essersi scoperto oltremisura lo ha portato un po' anche a perdere la bussola, spaesandosi leggermente. Ma per quanto "I Origins" possa essere - quasi per natura - un film controverso, ostico e decisamente di parte, al suo interno mantiene salda tutta una serie di pregi figli del suo talentuoso creatore, che non perde affatto capacità di esposizione, verve registica e incanto fotografico.
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