Ma dopo migliaia di peripezie - e la concreta condizione che "The Interview" potesse davvero finire nelle casseforti più remote del cinema per essere riesumato chissà quando - dopo l'uscita la vera domanda che sorgeva spontanea era: come sarà mai questo film? Sarà l'ennesimo fenomeno mediatico tutto fumo e niente arrosto?
Nemmeno per sogno. Perché evirato di tutte le chiacchiere, i problemi e gli intrighi politici che ha scatenato, "The Interview" resta comunque un ottima commedia americana, con intenti e risvolti tutt'altro che banali. Si, è vero, l'attacco a Kim Jong-un è molto forte, come lo è anche quello che per gran parte della storia è dedicato alla Corea Del Nord (salvo fare dei passi indietro verso la fine), ma tuttavia gli intenti dei due registi e principali sceneggiatori Evan Goldberg e Seth Rogen (ma in scrittura compare anche la collaborazione di Dan Stergling, autore del soggetto) sono assai differenti e scostati dall'intero contesto a cui erano stati relegati e ammanettati. Come lascia intendere il titolo - in italiano sarebbe stato "L'Intervista" - è il giornalismo infatti a prendere in mano il timone dell'intera farsa, un giornalismo inizialmente spiccio, inutile e gossipparo, che accompagna e affianca lo show di successo condotto dal protagonista James Franco a quelli simili, e da noi molto in voga, condotti generalmente da una Barbara D'Urso qualsiasi. Quel giornalismo che i veri giornalisti odiano, insomma, e che a livelli enormemente più alti è stato preso d'assalto persino dal genio di Aaron Sorkin e dal suo "The Newsroom", in una maniera più approfondita ed elaborata, ma con lo stesso scopo di voler ripescare esattamente cosa significhi prendere parte ad un mestiere del genere e quale etica dovrebbe essere adottata da coloro che ne fanno parte (o hanno intenzione di farne). Certo, James Franco e Seth Rogen non hanno nulla a che vedere con Will McAvoy, MacKenzie MacHale e la loro banda, ed il loro film è fin troppo ironico e grossolano per potersi proporre come guida positiva e definitiva per chiunque abbia intenzione di comprendere l'essenza di un mestiere importantissimo come quello di cui si fanno fedeli scudieri, tuttavia nella loro avventura si percepisce, a un certo punto, quella stessa volontà di volersi sbarazzare del giornalismo più bistrattato ed effimero per provare ad intraprendere quel tipo di informazione che sia in grado di fare del bene sia al popolo che al mondo.
E' un peccato perciò che "The Interview" debba portarsi dietro un carico di responsabilità (e una Storia) che obiettivamente lo riguardano ben poco. La reputazione del dittatore nordcoreano di cui si fanno beffe d'altronde non era tra le migliori neppure prima dell'esistenza di questo film e poi il cinema, a prescindere dall'attualità, deve restare, per definizione, una forma d'arte libera e lontana da qualsiasi tipo di influenze, lasciando che sia lo spettatore, infine, a decidere se ciò che ha visto sia valido, non valido piuttosto che giusto o sbagliato.
Per esempio, al sottoscritto "The Interview" ha convinto e divertito, a prescindere dal politicamente scorretto e dalla figura pesante e scomoda contenuta al suo interno, la quale - al di la dello scherno - non è affatto la regina della narrazione.
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