C’è stato un periodo della mia, breve ma non troppo, vita in cui non riuscivo a prendere sonno. Andavo a letto e tutto mi dava fastidio: la lucina del cordless sulla scrivania, la lavastoviglie del piano di sopra accesa puntualmente negli orari notturni, i gemelli della camera a fianco che, manco fossero svizzeri, tutte le sere tra la mezza e l’una cominciavano a piangere, proprio mentre ero li li per dormire. Minchia, che problemoni, direte voi. Avete ragione, risponderei io. Insomma, ci mettevo un’eternità ad addormentarmi.
Quindi l’idea geniale: tappi di silicone per le orecchie. Me li metto la prima sera e mi sembra di rinascere. Silenzio assoluto, qualche rumore ovattato e solo il battito del cuore che mi rimbombava nella testa. Battito affascinante per i primi due minuti ma poi diventato anche questo fastidioso. Ma al cuor non si comanda, dico bene? Detto non proprio coniato per questa situazione.
Passano le sere e, usando i tappi, dormo come un ghiro, recandomi nel mondo dei sogni in maniera pacifica e con la voglia di abbracciare tutti i mostri presenti nei miei incubi. Spingo il tasto avanti veloce e andiamo a qualche mese dopo: ho usato praticamente sempre gli stessi tappi, non curante del fatto che fossero quasi usa e getta. E me ne sono accorto quando, una mattina mentre stavo per toglierne uno, quello destro, me ne rimase un pezzo dentro. Bravo pirla, direte voi. Avete ragione, risponderei io. Ma io e amico tappo di silicone non ci davamo fastidio, così decisi di non darci troppa importanza e di conviverci. Fino a un paio di sere fa, in cui amico tappo di silicone è diventato abbastanza fastidioso, rendendo l’ascolto piuttosto arduo dalla parte destra del naturale impianto surround del corpo umano. Esatto, tranquillo, ovattato e spesso con il rumore del cuore che batte. Ma che ce ne frega, direte voi. Aspetta, arrivo al punto, cavolo. Rimane il fatto che la vita va avanti. Quindi posso tranquillamente continuare a guardare film. L’altra sera capito davanti al film di Massimo Andrei, chiamato Benur – un gladiatore in affito o una cosa del genere. E’ un film italiano e, segnatevi la data perchè non capiterà tanto spesso, è bello.
Tipo così ma giallognolo.
La trama. Sergio, romanista sfegatato, lavora davanti al Colosseo, fa il gladiatore per i turisti, passando le proprie giornate tra amici/colleghi di lavoro e qualche lavoretto saltuario. Ma, essenzialmente, nella vita vorrebbe essere un fancazzista. Sergio vive con la sorella Maria, interpretata da Elisabetta De Vito, che lavora per un call center erotico. L’arrivo di Milan, clandestino in cerca di fortuna in Italia, cambierà le vite dei due “romanacci”.
Mentre sto scrivendo, un servizio del tg1 sull’ennesima fiction con Beppe Fiorello viene trasmesso in tv. Che due palle, mamma mia. Beppe, una commedia mai? Ma cazzo la fanno tutti ormai. O sarà che hai la rata della macchina da pagare? Dai, vai a fare un cinepanettone anche tu. Cacchio, sembri un vecchio giovane, c’hai solo 44 anni, suvvia. E te lo dice uno che c’ha il mal di schiena un giorno sì e un giorno no. Possibile che non si riesca a produrre un film che parli di qualche tema impegnativo facendolo con leggerezza. No, Fausto Brizzi, non la tua leggerezza. Una pellicola che tratti dell’immigrazione clandestina e della vita che queste persone, alla ricerca di un qualcosa che possa migliorare la situazione, fanno quando lasciano tutto, lasciano la famiglia, per andare da un’altra parte, in un luogo dalla lingua spesso sconosciuta. Ecco, Beppe. Se tu fossi stato in un film del genere, probabilmente sarebbe stata una fiction in due parti con dialoghi sussurrati e un classico finale che vorrebbe essere strappalacrime ma che riesce solo nel farti desiderare che quello sia il vero finale e non l’ennesima pausa pubblicitaria televisiva. Perchè questo film, invece, ci riesce. E lo fa bene: riesce a divertire, e parecchio secondo me, riesce ad emozionare nella parte finale in cui Nicola Pistoia riesce ad abbandonare la maschera da scemo coatto sfoderando una notevole prestazione, riesce a farti empatizzare con Milan, il personaggio di Paolo Triestino autore di una buona prova mai esagerata, tra dolcezza ed ironia. Insomma, nonostante la tematica non sia delle più esilaranti e delle più semplici da trattare, la pellicola di Andrei riesce benissimo nel suo scopo consegnandoci un’ora e mezza di atmosfere malinconicamente simpatiche. Si dice “malinconicamente”, no?
Mentre sto scrivendo va in onda l’ennesima puntata di Affari tuoi. La tv lo trasmette ma più lo guardo più mi sta sulle palle. Mi chiedo, possibile che tutti gli uomini e le donne che partecipano alla trasmissione sono praticamente sempre belli? Non c’è la tanto amata casalinga di Voghiera, quella che passa la giornata in ciabatte, che si trucca poco e ha il grembiule impregnato del fritto appena cucinato? O il meccanico dalle mani rovinate che parla con pesante inflessione dialettale? D’accordo, sono esempi all’estremo questo. Però mi viene da pensare che questa non è la vera immagine del nostro Paese. Mentre invece da Bonolis ci vanno i dementi. Non è che in Italia vanno avanti solo i belli e i dementi, eh. O no? Boh, va beh. Uno dei punti di forza di Benur, secondo il mio modesto parere, è che i personaggi sono verosimili. Si può pensare che alcune scelte di casting siano state effettuate per ricercare un aspetto caricaturale del romanaccio, aspetto che però non rappresenta l’interezza caratteriale del personaggio: gli attori riescono a costruire delle maschere con più sfaccettature, dimostrando che quelle potrebbero essere persone vero. Certo, è in parte commedia e si tende, qualche volta, all’eccesso ma comunque nulla di così incredibile. Personaggi concepiti in maniera efficace e non solo con lo scopo di farli piangere quando vedono il filmato dei loro cari che urlano “Dai dai, torna a casa con dei soldi e in bocca al lupo!”.
Per me sono verosimili
Concludendo so che da questa pseudo recensione avrete capito poco e nulla della pellicola ma molto sul fatto che Beppe Fiorello mi sta antipatico e che Affari tuoi ha innescato in me una reazione crescente di cagamento di cazzo. Però spero che vi sia venuta un po’ di curiosità e che vogliate dare una possibilità alla pellicola. Perchè merita, secondo me. Un film sull’immigrazione agrodolce, ironico e con un po’ di malinconia. Alla faccia di un Piccola patria a caso.
Dai, Insinna torna a Don Matteo per favore.
Ah, per la cronaca l’orecchio si è stappato. Era solo cerume.