Ecco, il nero è vuoto (di luce). Definito sempre per toglimento. Ma è brutto - e furbetto - definire una cosa dicendo cosa essa non è, a meno che tu non sia Wittgenstein che alla fine del suo Tractatus logico-philosophicus ci disse «vi ho pigliati per il culo, perché quel che avete letto fin qui non è affatto importante, ciò che conta veramente non ve l’ho detto perché è ineffabile». E nemmeno puoi corteggiare una donzella presentandole da subito le qualità che non hai: non è affatto rassicurante.
Il nero non riflette la luce, ma anzi l’assorbe totalmente: ecco perché tutti i buchi sono neri.
Il nero non è propriamente un colore e anzi, come tutti gli altri colori (e quindi, per la proprietà transitiva, come lo stesso mondo là fuori), non è altro che un’impressione. Nella fattispecie, un’impressione visiva (noi e il mondo là fuori altro non siamo che impressioni e idee e rappresentazioni, ma questa è un’altra storia, andatevi a riguardare Matrix).
Il nero viene, da tempi immemori, associato a determinazioni negative, brutture, miserie, paura, mistero, sporcizia, incertezza (“la polizia brancola nel buio”, tanto per citare il luogocomunismo dei più frequentati), ma vi sono anche non indifferenti determinazioni positive: il nero snellisce. E in fin del conto Black Dahlia è uno dei meglio riusciti romanzi di James Ellroy (e come non citare il lungometraggio Il profumo della signora in nero, che tutti avrete sicuramente visto?).
Questo è il tempo per le streghe. E per gli artisti. Proprio perché buio, mediocre, pericoloso e precario, il medioevo contemporaneo necessita di una spallata: dev’essere mascariato, denunciato, stigmatizzato da chi sa che il re è nudo. E chi, in tempi di assuefazione alla scontatezza, di omologazione al belvedere, all’igiene mentale e all’attitudine politicamente corretta (ma perché?, perché adesso le sigarette si devono spegnere da sole?), chi meglio del deviante (e quindi la strega, il diavolo, lo zingaro, il tossico, il matto, il marxista, l’anarchico individualista e l’uomo nero) può porsi chiaramente in antitesi all’attuale edu- castrazione di massa? Ma su tutti può l’artista: perché, se l’arte contemporanea è (anche) fedeltà al presente, allora nessuno meglio dell’artista (che è sempre un cretino, Duchamp ce l’insegna) può funzionare da detonatore culturale e vettore della glikoclastìa (glikoclastìa è un termine che mi sono inventato adesso e nasce dall’unione delle parole di origine greca glykys (γλυκύς) = delizioso e klázo (κλάζω) = distruggo), di cui il gusto corrente ha tanto bisogno.
Ecco allora il senso di quest’opera al nero. Nero in riferimento all’immediatezza visuale ma non solo e non necessariamente. Ventitre artisti diversi per età, ricerca visiva e mezzo espressivo - pittura, scultura, video, disegno e fotografia, accomunati da una black attitude: cattive ragazze e cattivi ragazzi, oscuri, tortuosi, drammatici, ironici, visionari, profondi, raffinati, metafisici, affatto rassicuranti e deliziosi. Neri, per fattura artigianale e / o visuale. I soggetti oggetti sono il volto, la metamorfosi e la metromorfosi (la mappa dell’urbe è quella del derma e quella del soma!), lo scherzo, il perturbante, l’organico e l’inorganico, il canto del corpo e il suo svuotamento, il reale e l’irreale quotidiano, la perversione, il sogno e le creature della notte senza fine. Per un’estetica dell’eccesso.
Perché è novembre e s’ode e si scorge da lungi la slitta con le renne, ma col cazzo che NERO è la mostra di Natale.
Emanuele Beluffi
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