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Bene e Male. L’anima come pensiero

Creato il 05 ottobre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Bene e Male. L’anima come pensieroBene e Male.
L’anima come pensiero

di Iannozzi Giuseppe

Non credo nella felicità, in quella dell’anima: l’anima, quel poco che c’è, per me è una amalgama di elettricità cerebrale e di chimica un po’ tanto alla boia d’un giuda. L’anima è questa: una cosa che sta nella testa, il pensiero in definitiva. Non c’è altro, non ci sono 21 grammi di una non meglio identificata energia che farebbe l’uomo immortale perché dotato di anima, manco questa fosse una sorta di airbag (salvavita) compreso nel prezzo del corpo mortale che ce lo teniamo finché dura, poi sottoterra, i più fortunati sotto due metri di buon terriccio con un epitaffio, molti in fosse comuni o peggio ancora. Far del male o del bene è solo una sfumatura nell’educazione del pensiero umano: la cultura d’un popolo, d’un clan, d’una razza anche, hanno i loro propri concetti di Bene e di Male. Un tempo la prostituzione era considerata un privilegio sacro, un dovere, un avvicinamento agli Dèi, e non da ultimo un onore: quindi era un bene, rientrava nella sfera “far del bene al prossimo” prostituirsi. Ammazzare senza pietà i neonati deformi, gettarli, sacrificarli, era ritenuto un atto necessario: il bene era far in modo che la società non avesse degli storpi da sostenere. E il cannibalismo: alcune tribù non vedono affatto del male nel mangiare brani sanguinolenti dei propri simili. La felicità è una forma di libertà, un pensiero tanto evoluto da rendere invalidi quei tabù che le nostre culture ci hanno inculcato nel corso dei secoli? E’ una possibilità. In fondo la differenza fra un Charles Manson e un Gesù Cristo è infinitesimale: a loro modo entrambi, alla fine, sono stati felici delle loro proprie scelte.

Forse l’uomo ha dato una definizione di etica al di là d’ogni possibile antropologia culturale. Ma ne siamo realmente sicuri? Non è che ci stiamo ingannando? Forse vogliamo essere ingannati dal nostro intelletto nonché da quel nostro sentimento per ciò che diciamo essere reale. Che poi l’uomo sia riuscito a tradurla l’etica in atti concreti nella realtà quotidiana, be’, è a mio avviso ancora da provare. Vecchio cliché del constatare, non senza amarezza, che tra “il dire è il fare ci sta di mezzo il mare”. Eppure temo ancora che ciò che per me è un valore al di là del mio little garden non lo sia già più. Mi sa che l’erba del vicino è sempre più verde: forse solo un difetto visivo, che è nel mio occhio che guarda.

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