Quando chiedo ai miei pazienti affetti da ansia quale possa essere l’utilità dei loro sintomi, solitamente strabuzzano gli occhi: “Utilità?? Ma io non ci vedo niente di utile. Quest’ansia mi sta solo rovinando la vita!” A quel punto devo ricordare loro che non esiste alcun disturbo o patologia dell’essere umano che non voglia darci un messaggio o comunicare che è necessario intervenire per modificare qualcosa che non va.
Pensiamo ad esempio all’utilità del dolore: non fa piacere a nessuno provare questa sensazione ma cosa succederebbe se non l’avvertissimo? Non potremmo ad esempio accorgerci di esserci fratturati un arto o di avere un’appendicite e questo sarebbe un disastro! Stessa cosa dicasi per la febbre, che segnala un’infezione o un’infiammazione e quindi ci consente di correre ai ripari. Dunque, perché mai l’ansia dovrebbe avere solo risvolti negativi? E’ mai possibile che rappresenti meramente qualcosa da sconfiggere e non sia foriera di qualcos’altro? Per sdrammatizzare un po’ mi piace paragonare l’ansia ad un’innamorata respinta, di quelle che più la ignori e la tratti male, più ti sta addosso. E’ indispensabile invece fermarsi un attimo e accoglierla, sentire cos’ha da dire e poi accompagnarla gentilmente alla porta.
Ricordo ancora il caso di Luisa, 28 anni, una vita frenetica, negli ultimi tempi spesa ad organizzare eventi, con ritmi improponibili che la obbligavano a scambiare il giorno con la notte, ed un percorso universitario lasciato a metà. Era arrivata da me perché “inspiegabilmente” colta da attacchi d’ansia che lei non tollerava e che si augurava potessero sparire nel più breve tempo possibile. Avrebbe poi scoperto con il tempo, e proprio grazie all’ansia, che il suo lavoro non la soddisfaceva e che avrebbe voluto concludere i suoi studi, laurearsi e poi dedicarsi alla sua vera passione: l’interpretariato. Avrebbe capito che l’ansia aveva messo un freno ad uno stile di vita che la stava logorando fisicamente e psicologicamente. La presa di coscienza di questo messaggio “subliminale” ha così consentito a Luisa di accogliere benevolmente i suoi sintomi, imparando poi a governarli sino a che questi non l’hanno lasciata.
Altro caso emblematico è quello di Giovanna, 33 anni, colta da attacchi d’ansia quando si separa fisicamente dai suoi genitori. E così ha comprato un appartamento ad un isolato dai suoi (ma spesso dorme da loro), è costretta a farsi accompagnare al lavoro dal padre (anche se l’ufficio dista solo 10′ di auto dalla sua abitazione) e quando le sembra che l’ansia sia troppo forte corre a casa tra le braccia delle madre che consola il suo pianto e la tiene stretta a sé rassicurandola che andrà tutto bene. Anche in questo caso chiedo a Giovanna in che cosa crede che quest’ansia la stia aiutando. Ed ecco i soliti occhi sbarrati e l’incredulità dinanzi alla mia domanda “bizzarra”. Ribatte che non esiste alcuna utilità e che lei desidera solo star bene. Nell’arco di qualche seduta Giovanna esplicita il suo desiderio di “rimanere piccola”, di non crescere perché questo coinciderebbe con il processo di invecchiamento dei suoi genitori e l’avvicinarsi della loro morte, evento che lei non concepisce e che la fa subito scoppiare in lacrime. Arriviamo così a capire che l’ansia aiuta Giovanna proprio a rimanere bambina e a fare in modo che i suoi genitori continuino a coccolarla e a vezzeggiarla proprio come se fosse ancora una cucciola. D’altronde anche il desiderio di avere sempre le figure di riferimento “a portata di mano” e la loro mancata interiorizzazione è tipica dei bambini molto piccoli che si allontanano di qualche metro e poi si girano per essere sicuri che mamma o papà siano ancora lì. Dunque l’ansia si innesca quando si è superata la distanza massima consentita e permetta a Giovanna di regalare ai suoi cari un elisir di eterna giovinezza. L’obiettivo concordato con Giovanna è dunque si aiutare questa sua parte bambina a non aver paura di diventare adulta: solo così l’ansia potrà pian piano lasciarla.
E voi avete già pensato all’utilità della vostra ansia?