C’era una volta una regina.
Correva l’anno 1793: 16 novembre, ore 12.15, place du Carrousel.
Mani legate dietro la schiena, incedere elegante, testa alta, portamento eretto. Come se salisse i gradini di una scala di Versailles. Un ultimo sguardo alla folla, l’occhio vigile, fiero, di quella fierezza che intimamente appartiene a chi è certo della superiorità del proprio rango. Una presenza assente. Nel cuore, l’aldilà.
C’era una volta una regina…
Dissacrata, oltraggiata, diffamata, castigata. Per il fatto di appartenere ad una casta ambita, inafferrabile. Capace di suscitare quel prepotente sdegno per il proprio privilegiato divino disegno.
Nasce colei che, insignita dalla nascita con il titolo di arciduchessa, rappresenterà l’emblema di un’epoca.
Ha quattordici anni quando approda in Francia con cinquantasette carrozze al seguito, duecentomila corone di dote e tanta fiducia nel cuore.
Presso un capannone apposi- tamente costruito avviene la remise, svestizione e rivestizione, smessi gli abiti austriaci, assunte le vesti francesi. Nella pienezza del suo splendore di bambina appena un po’ più grande, viene data in sposa. Immaginatene il volto, l’incarnato di una trasparenza quasi iridescente, che, a detta della sua ritrattista di fiducia, Elisabeth Vigée-Le Brun, rendeva difficile intercettare ombre sul viso per consentirne il ritratto. La pelle lattea, tanto rilucente che non se n’era mai veduta una altrettanto luminosa.
Il labbro inferiore non perfettamente conformato, all’apparenza quasi imbronciato, ma non per questo meno accattivante.
Immaginate uno sguardo intelligente, gaio e dipinto di blu.
Braccia e mani mai viste di così perfette.
Immaginatela, eterea, composta, un portamento speciale, un incedere raffinato.
Difficile l’iniziale rapporto con il delfino. Osteggiato da una primitiva avversione da parte di lui, dovuta anche ai radicati pregiudizi verso il mondo asburgico.
Così la noia, la giovinezza, l’iniziale diffidenza del consorte, concorrono ad indurla ad un periodo di vita fatuo.
Sboccia la regina degli eccessi. Opulenta, stravagante. Risucchiata nei fasti di corte, dalle fêtes galantes (feste galanti), sovente avvinghiata a personaggi subdoli.
La regina e la sua Rose.
Per un periodo Rose Bertin, modista della regina, fu costretta ad affittare un appartamento nei pressi della regia, tanto spesso era richiesta la sua presenza a corte.
Ogni mattina Maria Antonietta sedeva con in mano un grosso album, all’interno del quale erano posti brandelli di stoffa: ad ognuno di questi corrispondeva un abito del suo guardaroba. Ella puntava uno spillo sul prescelto e si procedeva alla vestizione.
Si incontravano nel Cabinet de la Méridienne; Rose era l’unica persona di rango non aristocratico ad essere ricevuta in quel luogo.
Sedevano lì, Rose e la sua regina, nella sala con il camino di marmo rosso, le pareti dipinte di bianco e oro e il suono di un’arpa, o di un pianoforte, come sottofondo. La modista mostrava le sue idee, i modelli che aveva pensato per l’ ”Austriaca”. Valutavano stoffe, ornamenti, colori.
Tutto ciò che l’Austriaca adottava, veniva bramato della altre titolate che si apprestavano ad affollare Rue Saint-Honoré con le loro carrozze poste dinanzi a Le Grand Mogol (la boutique di Rose Bertin) nella spasmodica ricerca dell’ultimo modello scelto dalla regina.Anticonformista e ambiziosa Rose.
I suoi modelli erano talmente ambiti da consentirle di arrogarsi il diritto di ricever le nobildonne sdraiata su una chaise longue e di replicare a chi riteneva i suoi prezzi troppo alti, che a Vernet (Claude Joseph Vernet) non erano pagate solo tela e pennelli.
Gli abiti di Maria Antonietta, di giorno più sobri, spesso ornati da mazzolini di fiori freschi, la sera erano sontuosi. Impreziositi di pietre preziose. Figuratevi dei monumenti mani-fatturieri realizzati mediante le stoffe più pregiate: sete, sottili nuvole di tulle, fini garze, merletti di pizzo. Panier larghi anche tre metri, gonne talmente ampie da nascondere vere proprie impalcature di legno e metallo.
Le acconciature della regina poi, erano mirabolanti. Potevano arrivare sino a mezzo metrodi altezza. Dunque poteva essere costretta a tenere la testa fuori dalla carrozza, o a doversi chinare sulle ginocchia in posizione strategica per evitare danni.In cima all’opera veniva posto qualche oggetto simbolico al quale era affettivamente legata, o anche qualcosa di rappresentativo, come un paesaggio, piuttosto che una flotta di navi, o un cimelio di famiglia. Qualsiasi cosa, purché fosse stravagante e significativa.
Nella seconda metà della sua giovane vita, precisamente dopo la nascita di Carlotta (Marie Thérèse Charlotte), la primogenita, la regina adottò uno stile di vita più sobrio, ritirato, lontano dai fasti di corte che aveva prediletto sino a quel momento. A ciò corrisponde un radicale mutamento nel vestiario. Adotta uno stile agreste, preso dalle donne creole delle colonie, potremmo dire, che fu un’antesignana dell’attuale ”moda etica”. Predilige infatti chemise di mussola abbinate a cappelli di paglia e confortevoli abiti all’inglese, talmente semplici e leggeri da farla apparire scandalosa agli occhi del popolo che sempre la deprecò.
Una regina tutta intera Maria Antonietta, fiera, coraggiosa, sovversiva.
Una donna che seppe, al momento giusto, essere al fianco del suo consorte.
Che sul patibolo, un momento prima di essere ghigliottinata, mostra tutta la sua delicatezza d’animo e femminilità rivolgendosi al boia al quale aveva involontariamente pestato un piede con la frase:
“Pardon monsieur. Non l’ho fatto apposta”.
Gran parte delle informazioni provengono da:
La sarta di Maria Antonietta. Memorie di Rose Bertin, Clichy 2013
Marie Antoniette, un film di Sofia Coppola del 2006 (vedi il trailer)