Tra pochi giorni, il 12 dicembre, giorno della Madonna di Guadalupe, il Papa arriverà su Twitter. Il suo account principale (@pontifex, in inglese) è attivo dal 3 dicembre, allo scopo di raccogliere le domande dei fedeli da tutto il mondo. L’hashtag da utilizzare da chi voglia fare domande – naturalmente in qualunque lingua – è #askpontifex.
fai una domanda al papa
Dal momento della sua attivazione l’account è bombardato da messaggi a dir poco irriguardosi, domande che probabilmente vorrebbero essere spiritose, ma che di certo non sono benevole, e diventano quindi spesso non solo offensive, ma anche volgari.
Due sono le caratteristiche di Twitter come strumento di comunicazione: la brevità dei messaggi che è possibile inviare, da un lato, e la “pericolosità” di uno strumento del tutto aperto e pubblico. Chi apre un account su Twitter, non può sottrarsi ai messaggi che gli vengono rivolti con la sintassi @nomeutente; né può evitare che i risultati delle ricerche per il suo “nomeutente” includano i messaggi negativi o offensivi, critiche e lamentele, che diventano dunque di pubblico dominio. È una delle ragioni per cui alcune imprese preferiscono evitare di esporsi in questo modo, confortate anche dal fatto che in fondo in Italia gli utenti di Twitter non sono poi così tanti.
In questi primi giorni, il pericolo conseguente all’apertura e all’orizzontalità di questo mezzo si è dispiegato in tutte le sue pontenzialità negli attacchi al Pontefice, che si susseguono a rtimi impressionanti.
D’altra parte, non è certo Twitter ad aver generato gli insulti, e non è neanche lontamente pensabile che dei tanti addetti alle comunicazioni del Vaticano e della CEI, nessuno avesse notato prima il fiorire di accounts, pagine di Facebook e siti anti-cattolici, quando non apertamente blasfemi.
Certamente, se il bombardamento continuerà a questi ritmi, sarà difficile per gli addetti raccogliere le domande vere degli utenti. Ma gli esperti non credono che durerà, e probabilmente non è un caso se gli accounts sono stati aperti una decina di giorni prima del primo messaggio ufficiale di Benedetto XVI.
Dunque è molto probabile che il Papa abbia deciso di entrare in Twitter nonostante questo, e non avendo sottovalutato il “pericolo”: il senso di questa scelta deve dunque risiedere nelle potenzialità del mezzo stesso.
Un Papa nella postmodernità
In sé per sé, la presenza di un leader religioso spirituale su Twitter non è una novità, né mancano esperienze e riflessioni sul rapporto tra Web e religione.
E d’altra parte, quale episodio è più efficace nel sottolineare le potenzialità e i pericoli della comunicazione, di quello biblico della Torre di Babele? Se il progetto degli uomini è quello di costruire una sola grande torre che li porti al cielo, parlando tutti la stessa lingua, il progetto di Dio per loro è invece quello di percorrere molteplici strade e popolare tutta la Terra, nella diversità culturale.
Se da una parte la parola, la comunicazione, la capacità di fare progetti e realizzarli, sono fra i tratti che fanno dell’uomo la creatura fatta ad immagine e somiglianza del creatore, l’unicità non è per l’uomo (che non può e non deve proporre nulla come “unico” di alternativo all’Unico).
Sotto questo profilo Twitter è senz’altro il mezzo che meglio rappresenta la postmodernità, con i suoi messaggi brevi, di 140 caratteri: milioni di messaggi lanciati in uno spazio indefinito, talora raccolti e rilanciati, a volte abbandonati al loro destino. Tutti, comunque, presto dimenticati e persino cancellati dai server.
Ebbene, proprio il pontefice più severo nei confronti della postmodernità ha deciso di aprire un suo account su Twitter, di inviare messaggi brevi, che si perderanno in mezzo agli altri milioni di messaggi, e che probabilmente saranno spesso sbeffeggiati da cabarettisti di turno — più o meno talentuosi, più o meni grevi.
La presenza di Benedetto XVI su Twitter mi fa in questo senso pensare al pellegrinaggio di Giovanni XXIII a Loreto, alla prima uscita di un Papa da Roma dopo l’Unità d’Italia, allontanatosi dalle Mura Vaticane non tanto per entrare nella modernità, quanto per avviare un dialogo con i moderni. Il Papa vuole dialogare con i postmoderni?
Cosa si può dire in 140 caratteri? Un versetto della Bibbia
Secondo Antonio Spadaro, nel piccolo ebook dal titolo Twitter Theology (pubblicato da 40K Unofficial il giorno stesso dell’apertura dell’account del Papa), il principale rischio insito nella obbligata brevità dei messaggi di Twitter è che «la necessità della sintesi va[da] a scapito del ragionamento e a favore degli slogan, delle frasi a effetto».D’altra parte, si tratta di un mezzo che consente di entrare in relazione diretta con gli altri utenti in tempo reale, e la possibilità di entrarci mediante «istanti di poesia, intuizioni dense di significato, di quelle che sanno aiutare a vedere la vita in maniera nuova e meno affannosa», come, sempre secondo Spadaro, ci richiedono i ritmi frenetici della vita d’oggi. Se sono molti i riferimenti alla letteratura contemporanea, «è la sapienza della riflessione religiosa ad aver accompagnato per secoli l’uomo occidentale in questo suo bisogno di sapienza essenziale ed estremamente concisa».
Si possono dire tante cose in 140 caratteri: Spadaro ricorda la poesia Mattina di Giuseppe Ungaretti che consta di appena trenta caratteri — titolo e spazi inclusi –, così come anche i versetti della Bibbia e del Vangelo, e soprattutto (l’autore è gesuita) gli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola, che invitava a «contemplare il significato di ogni parola della preghiera».
Non solo è possibile esprimere la propria vita spirituale in 140 caratteri, ma, secondo Benedetto XVI, tutti i contenuti prodotti dagli utenti in rete sono meritevoli di attenzione in quanto “momenti di riflessione e di autentica domanda”, e comunque in quanto espressione della vita spirituale dell’uomo. Essere su Twitter permette di ascoltare meglio, di comprendere meglio persino coloro che attaccano la Chiesa, articolando i loro attacchi, o esprimendosi solo attraverso gli insulti.
Ma ciò che forse ancora meglio può aiutare a comprendere questa scelta, è il fatto che (in qualunque religione, e non solo) la condivisione di tali momenti di riflessione ha un valore di per sé. E non solo nel senso che i messaggi acquistano risonanza nel momento in cui vengono condivisi da altri utenti (in un ottica di evangelizzazione), ma soprattutto perché la condivisione è un mettere in comune, un comunicare che va al di là del semplice diffondere raggiungendo un target.