Magazine Africa

Benedict Daswa : quando si dice fede autentica

Creato il 22 marzo 2015 da Marianna06

 

Beatidutini1

 

Non tarderà molto che anche la Chiesa cattolica del Sudafrica avrà finalmente  il suo primo martire riconosciuto.

Papa Francesco ha firmato, giorni addietro, il decreto per le cause dei santi. E questi iter ,come si sa, sono piuttosto lunghi ma giungono, a tempo debito, alla giusta conclusione.

E’ Benedict Daswa il primo martire sudafricano.

Un giovane padre di famiglia che, nel gennaio del 1990, quando aveva solo 44 anni (era nato a Mhabe nel 1946) e neanche compiuti (li avrebbe compiuti il 2 febbraio),  fu ucciso in un agguato, a pochi passi dal suo villaggio e dalla sua abitazione, mentre faceva rientro a casa in automobile.

Ma andiamo con ordine e premettiamo, per chiarezza d’esposizione, che ai nostri giorni, in tutta l’Africa, nonostante una certa modernizzazione ben avviata in più ambiti, ci sono contesti in cui la mala pianta della stregoneria non è  del tutto estirpata.

E per stregoneria non s’intende l’operato della medicina tradizionale praticata dal guaritore con erbe medicinali, che può essere anche  un  benefico rimedio in attesa della medicina dell’uomo bianco. Quanto ci si riferisce agli eccessi di certe pratiche, che giungono a uccidere per espiantare organi e far credere al paziente o alla persona superstiziosa, in genere ricca e disposta a pagare qualunque cifra, che in tal modo, grazie a quel feticcio, uomo o donna che sia, lui o lei, guarirà di sicuro dai suoi mali.

Ne sanno qualcosa, ad esempio, gli albini del Tanzania, che rischiano la vita quotidianamente. E non solo loro. In quanto pure in Congo accade la stessa cosa con bambini nati malati  e/o deformi e abbandonati dalle famiglie, perché considerati portatori di sciagure.

Non è raro, infatti, che essi siano rapiti dagli stregoni del villaggio e, quindi, uccisi.

Persino uomini di cultura africani ( ne ho fatto esperienza diretta nel corso di alcune interviste), che hanno studiato e viaggiato in Europa, dinanzi alla medicina tradizionale e ai suoi benefici, non si dilungano. Sono concisi. E tacciono,  pure se  sollecitati , a dare una qualche spiegazione.

E accade lo stesso in riferimento a certe pratiche che l’Occidente moderno ovviamente ripudia, come l’escissione delle labbra dei genitali, praticata in contesti, quasi sempre rurali, alle bambine prima che divengano donne da marito.

Il confine tra medicina tradizionale e stregoneria, insomma, è labile. Ed è anche  pianeta, a dirla tutta,  molto difficile da esplorare.

Ritornando a Benedict, egli era un insegnante e un catechista, appartenente alla  diocesi di Tzaneen, nella Provincia di Limpopo.

Proveniva da una famiglia di ebrei di colore, detti “Black Jews”, della tribù Lemba, e aveva scelto di fare parte della chiesa cattolica all’età di 16 anni, prendendo il battessimo.

Godeva della stima indiscussa della sua gente e come uomo di cultura e come persona di fede. Infatti, per la sua serietà e professionalità, era divenuto anche  preside della scuola locale.

Ma gli apprezzamenti gli pervenivano anche da parte di chi non aveva con lui rapporti stretti di lavoro o di  altro (cioè non  persone necessariamente di confessione cattolica).

Era decisamente quello che si dice un uomo buono e, soprattutto, onesto. E un ottimo marito e poi un  padre di famiglia attento e premuroso.

Un giorno come tanti, durante ripetuti temporali di stagione, dinanzi al moltiplicarsi di fulmini, che bruciavano, un giorno sì e l’altro pure, i tetti delle capanne, alcuni uomini del suo stesso villaggio,  troppo creduloni,  cominciano ad andare in giro per le abitazioni in questua.

Domandano 5 rand a ciascuno per poter raccogliere una somma, che avrebbe consentito allo stregone del luogo di fare un  probabile  intervento miracoloso.

Essi chiedono  anche a Benedict la stessa cifra. E Benedict non solo rifiuta ma tenta loro di spiegare che si tratta di normali fenomeni naturali, cui non ci si può opporre.

Non l’avesse mai detto che la ritorsione violenta scatta immediata il giorno seguente.

La sera, mentre fa ritorno a casa, è pronto per lui  l’agguato.

Gli viene bloccata la strada, lui è fatto scendere dall’automobile e inseguito senza scampo.

Per ripararsi Benedict si rifugia, nelle vicinanze, nella casa di una donna. Quando però capisce che anche la donna avrebbe pagato un alto prezzo per la sua protezione, si consegna senza indugio ai suoi inseguitori-assassini.

E, prima d’essere pestato a morte, cade in preghiera, chiedendo perdono al Signore  persino per i suoi stessi carnefici.

A Benedict non fu risparmiato nulla dal manipolo inferocito.

Morì sotto colpi di bastone di una violenza inaudita, fu accoltellato e investito da capo a piedi con ripetute secchiate di acqua bollente.

E fu la stessa comunità di villaggio a parlare di lui subito come di un martire. E questo perché chi muore nel nome di Dio per la salvezza di altri (e la sua gente l’aveva ben capito) non crede in un regno di Dio lontano, posto su leziose azzurre “nuvolette” ma in un regno realizzato, qui e ora, nella persona di Gesù e di coloro che scelgono di seguirlo adesso.

Non importa se la realizzazione storica della comunità risulta poi essere imperfetta. Come accade. La sfida è proprio in questo. Benedict l’aveva capito. E pure molti tra la sua gente.

Il martire, in realtà, è un testimone. Un testimone credibile in quanto per la fede dona la propria vita.

Come Gesù, sulla croce, ha fatto per noi e per la nostra salvezza. Perché il “regno” è, appunto, dono.

 

                             Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

    

Servant_of_God_Benedict_Daswa_CNA_Africa_Catholic_News_3_14_12

                 Nella foto sopra  Benedict Daswa


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :