Benedizioni
In Umbria, ma in Italia in genere credo, persiste l’abitudine (medioevale? Non so, mi dovrei
documentare sul suo inizio effettivo) della benedizione delle case in tempo di Pasqua.
Questo rito sacramentale si fonda, credo, sulla rievocazione della lettura del brano riguardante la Pasqua ebraica nel libro dell’Esodo (la storia di Mosè, dei Dieci Comandamenti, la fuga dall’Egitto e tutta la compagnia cantante)che narra come gli ebrei spalmarono gli stipiti e l’architrave della porta d’ingresso delle loro case con il sangue dell’agnello immolato per la Pasqua.
In questo modo, l’Angelo Sterminatore passò oltre le abitazioni ebraiche risparmiandone i figli maschi primogeniti, a differenza dei bambini primogeniti del popolo egiziano che furono uccisi (le figlie femmine non se le filava nessuno). Così, accogliendo il sacerdote che reca la benedizione di Dio, nella Pasqua cristiana ci si prepara alla liberazione dalla schiavitù del peccato e della morte grazie al sacrificio di Gesù Cristo.
Credo.
Ho riassunto bene?
Sì, credo di sì.
In fondi alle elementari ho vinto le Olimpiadi del Catechismo, quindi.
Quello che mi chiedo in merito a quest’usanza antichissima, e che personalmente trovo molto bella perché permette di “conoscersi” col proprio parroco, è solo una.
Caro prete che vieni a benedire casa mia, possibile che tu mi chieda la bustina ancora prima di entrare?
Che mi inondi in fretta e furia casa di acqua benedetta, biascicando la benedizione alla velocità della luce e manco guardandomi in faccia fino al momento in cui infilo la mano nella tasca della giacca per estrarre l’oggetto del desiderio?
Che mi appiccichi tre caramelle e una candela e poi butti l’occhio questuante sulla tavola alla ricerca della magica busta bianca?
Ma non era un momento di condivisione?
Quand’ero piccola Don Bruno si piazzava in casa, si sedeva nel salotto e s’accendeva una sigaretta. Mia mamma gli faceva il caffè, mentre lui inizia a tirarmi le orecchie perché non ero andata a catechismo per ben due volte in un anno (il fatto che avessi avuto l’ebola non mi giustificava lo stesso). Chiedeva come andavano le cose, si interessava, accarezzava il cane e cercava di dare una mano nelle piccole cose.
Poi preghierina, benedizione, caramelle, candela, busta, ecc.
Ma si interessava a noi.
E ci conosceva uno per uno.
Ai giorni d’oggi, l’attuale prete del mio paese:
1) Non ti dice quando passa, ma solo il periodo ipotetico perché bisogna essere sempre vigili per Gesù. Infatti non mi ci trova mai, perché devo lavorare e non posso star ad aspettare una settimana a casa il suo arrivo. Confido nella comprensione di Gesù, in fondo anche i suoi genitori lavoravano.
2) Anche se mi trovasse in casa NON ENTREREBBE perché mi ha chiaramente detto che vivo nel peccato e o mi pento o andrò all’inferno. Credo fortemente che una busta adeguata lo farebbe cambiare idea, ma con quei soldi preferisco comprarmi un paio di scarpe, grazie.
Non vorrei passare per eretica, ma non penso sia un bell'atteggiamneto.
E non mi tirate fuori la storia che i preti son persone come el altre e che non mi devono scoraggiare.
Mi scoraggio eccome.
Possibile che ogni mio afflato religioso venga stroncato sul nascere?
Ma non bastavano le buone intenzioni?
Ah, no.
Ora ricordo.
E’ la strada per l’inferno che è lastricata di buone intenzioni…