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Benvenuti al Nord: un’Occasione Perduta

Creato il 28 febbraio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il febbraio 28, 2012 | CINEMA | Autore: Salvo Ricceri

Benvenuti al Nord: un’Occasione PerdutaDai più ridanciani e buonisti scrivani di corte che plaudono alla freschezza di una trama semplice quanto basta per non scomodare fastidiose considerazioni, ai cultori di una cinefilia che definire integralista sarebbe un florido eufemismo: “Benvenuti al Nord” è già passato sotto l’indice inquisitorio della più acuta critica che questo nostro stivale possa vantare. Con i primi concordo riguardo al lungimirante assortimento della coppia Bisio-Siani, che per tutta la durata del film si scambiano assist geometricamente perfetti riguardo a tempistiche comiche e spontaneità di dialogo. Con i secondi mi trovo parzialmente d’accordo per la condanna silenziosa rivolta al regista, Luca Miniero, reo di aver gettato alle ortiche la sua novella nomina di restauratore del prestigio della commedia nostrana scivolando nella macchietta cinematografica. Se infatti da un lato gli stereotipi ed i preconcetti campanilistici sono empiricamente tangibili (d’altra parte siamo Nazione storicamente da ieri), dall’altro la rappresentazione grottesca e caricaturale della spaccatura etnica delle due Italie era già stata a mio parere abbondantemente e brillantemente illustrata dal precedente “Benvenuti al Sud”, campione di incassi e film-feticcio dell’immaginario collettivo al punto tale da far figurare una gigantografia della locandina nel cartellone di ingresso del comune di Castellabate (SA), location delle riprese del primo lungometraggio. Tutto, insomma, poteva fermarsi lì. Si è voluto galoppare il successo di un format ormai rodato e comprovato, campione di incassi fin da quando Dany Boon diresse “Bienvenue chez les Ch’tis”, antesignano del genere da cui sarebbe poi stata fedelmente tratta la trama della prima pellicola, tenendo fede al noto adagio: cavallo vincente non si cambia.

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L’indice accusatorio, se di questo si può parlare, dovrebbe piuttosto esser puntato contro un prodotto che pur di non rischiare il lusso dell’innovazione, risulta piatto e artificioso, alleggerito sporadicamente da timidi sprazzi di humor efficace, ma in linea di massima scontato. Tracciando una mappa concettuale della trama vi basta infatti invertire specularmente le dinamiche del precedente capitolo: Mattia (Alessandro Siani), a causa di un malinteso, viene spedito ad uno degli sportelli della posta a Milano, fin dentro al temibile e nebbioso nord che già Totò e Peppino avevano “esplorato” facendo bella mostra di pellicce, colbacchi e palandrane. Ad ospitarlo è Alberto (Claudio Bisio), il dirigente brianzolo che nel film precedente aveva imparato a far tacere ogni pregiudizio nei confronti dei “rozzi” meridionali e che ora, insieme al figliolo e alla moglie Silvia (Angela Finocchiaro), occupa un posto di rilievo all’interno delle Poste Italiane del capoluogo lombardo. Ad onta dell’inesorabile rottura con le rispettive consorti, i due annegano in una crisi di valori e identità che ha soluzione nello scambio di esistenze reciproco: il pigro ed impulsivo meridionale si imbarca in una iperproduttiva scalata al successo professionale, il preciso e solerte impiegato nordico riscopre la spontaneità di una umanità che le logiche aziendali avevano annebbiato. Il resto non ve lo anticipo, anche perché tirando qualche retta le evoluzioni successive si evincono già da qui.

Benvenuti al Nord: un’Occasione Perduta

Si strizza l’occhio alla satira provocatoria nella magistrale interpretazione di Paolo Rossi, nei panni di un dirigente delle poste a mo’ di Marchionne, e al citazionismo velato, come ad esempio nella scena in cui i due protagonisti attraversando le strisce pedonali di una strada milanese ripropongono una loro versione dell’ormai celebre copertina di Abbey Road dei Beatles. Il risultato è un pot-pourri di gag in alcuni casi anche notevoli (come la conversazione tra il meridionale Scapece e la suocera lombarda che, nonostante i rispettivi indecifrabili dialetti, sembrano comunque intendersi perfettamente) in altri parecchio grottesche (penso al razzismo leghista) quando non addirittura forzate allo stremo (il pesce rosso nel sushi vorrebbe essere un omaggio ai migliori cine-panettoni?). La speranza è che l’opera rimanga un infelice intermezzo nel panorama della commedia italiana che tanto ci ha dato lustro in passato nel mondo, quella che magari facendo leva sulle dicotomie geografiche sapeva comunque veicolare messaggi, oltre che risate.

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