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Qui non è il Cetto La Qualunque, furbetto, mafiosetto ignorante, senza pregiudizi che si candida per sistemarsi e sistemare amici e parenti. Giuseppe è un povero cristo qualunque che vive in modo semplice, un ottimista, un sognatore che si trova trascinato a Roma, al Quirinale. Tra protocollo e responsabilità e senso del dovere verso il suo paese prenderà una difficile decisione, quella di provare ad essere l'uomo nuovo, l'uomo qualunque. Le difficoltà non sono poche e Peppino, nonostante la sua gioiosa anarchia, la sua fresca onestà e un saggio buon senso, dovrà scontrarsi contro i complotti e le macchinazioni di trame segrete deviate.Certamente la scrittura di una "favola-farsa" su un argomento tanto attuale e scottante non è stata cosa semplice, se talvolta la sceneggiatura cade in banali luoghi comuni (elargire soldi ai poveri, andare tra i bambini malati) o in citazioni di vecchie commedie (l'origano sulla pizza che in realtà è droga) non è certo banale il personaggio di Bisio, con una recitazione surreale, tenuta perfettamente al guinzaglio… (forse grazie alla regia e alla sceneggiatura) la sua bravura rende il personaggio di Peppino, dissacrante e surreale ma anche teneramente poetico. Alcune trovate sono veramente divertenti.
Temo che gli eventi della politica reale, possano durante la stesura e lavorazione, talvolta, aver spiazzato sceneggiatori e regia per gli improvvisi cambiamenti e rimescolamenti tra realtà e fantasia.Il film esce al cinema in un momento particolarmente appropriato. La questione del degrado morale, del "Tanto sono tutti uguali"… "Quelli rubano tutti"… nel film è rappresentata nella metafora delle famiglie sedute a tavola che mangiano, mentre guardano i TG. E' a loro che con un indice in primo piano, Peppino si rivolge quando in parlamento annuncia le sue dimissioni, perché è anche colpa tua se queste persone sono qui… perché la malapolitica è nel malcostume della gente, nei mille atteggiamenti "furbetti" che ormai molti di noi fanno in modo scontato; dallo scontrino, alla fattura, alla piccola raccomandazione…Se è vero che "La storia siamo noi, nessuno si senta escluso" dicono le parole della canzone di De Gregori, noi possiamo e dobbiamo cambiarla.Il punto che mi ha lasciato perplessa e proprio questo finale. Dove si è usato il parlare direttamente allo spettatore, "strappando" il sipario e uscendo fuori dalla finzione per parlare al pubblico in modo più esplicito.Quando, a mio avviso si usa la commedia e la grammatica della farsa e delle metafore è bene rimanere negli argini… Lo spettatore attento sa poi tirare le sue conclusioni o si rischia di dargli dell'idiota. Ecco che si cade nel controsenso… nella mala politica. Quella fatta da uomini che si sentono più furbi più sapienti PIU'… e tu uomo qualunque, che mi stai guardando non riesce a capire…. Quindi devo dirtelo direttamente.
Per quanto siano spiacevoli i paragoni, mi viene in mente un film che porto ancora bene in mente "Il Portaborse"un film del 1991 diretto da Daniele Luchetti. La pellicola affronta la tematica della corruzione dilagante nel mondo della politica, ed è uscito nelle sale in leggero anticipo rispetto allo scandalo "Tangentopoli". Il finale si rivolgeva al pubblico in modo incisivo, violento e terribilmente viscerale da lasciarti senza fiato. Silvio Orlando distrugge la macchina che l'onorevole gli aveva regalato con una mazza da golf, e ogni flagellazione di Orlando era anche dello spettatore.
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