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Benzina dalle formiche!

Creato il 02 dicembre 2010 da Gifh
Benzina dalle formiche!

Un catalizzatore basato sul ferro per la riduzione di bicarbonato a formiato. Imagecredit: WILEY-VCH

Sembra talmente banale, una di quelle idee spiazzanti e sotto gli occhi di tutti, che tuttavia a causa di quell’ottica vigente totalmente stereotipata che nasconde anche l’intuizione più evidente, rimane sempre in secondo piano.

La domanda è semplicissima e non nascondo di essermela posta molte volte anche io: le formiche sono la chiave per il carburante del futuro?

L’acido formico (HCOOH) il più semplice acido organico che deve il suo nome proprio alle formiche, nel cui organismo viene sintetizzato e che lo usano come veleno urticante, rappresenta una delle molecole ideali per immagazzinare l’idrogeno, in maniera efficace e sicura e potrebbe diventare il “serbatoio” energetico rifocillato da energie rinnovabili per alimentare le automobili del XXI secolo, che è già iniziato, non dimentichiamolo, anche se forse non sembrerebbe…

L’idrogeno è notoriamente un vettore energetico che spesso viene identificato come il futuro sostituto dei combustibili fossili, che tuttavia comporta alcuni inconvenienti tecnici ancora difficili da risolvere completamente. Allo stato gassoso è estremamente infiammabile e il suo utilizzo come carburante di largo consumo è ostacolato da sistemi di trasporto e immagazzinamento inadeguati e impegnativi, come ad esempio quando viene compresso all’interno di ingombranti bombole pressurizzate.

I ricercatori del Politecnico di Losanna e i loro colleghi del Leibniz-Institut für Katalyse hanno trovato un modo per aggirare questi ostacoli. Una volta convertito in acido formico, l’idrogeno può essere immagazzinato con facilità e sicurezza.

Questa nuova tecnica  inoltre possiede l’indubbio vantaggio di sequestrare una certa quantità di biossido di carbonio per formare, insieme all’idrogeno e a un catalizzatore, un sale dell’acido formico non infiammabile e liquido a temperatura ambiente.

Naturalmente questo è il primo passo, il mese scorso, nei laboratori EPFL gli scienziati sono riusciti a riprodurre la reazione inversa, fondamentale per lo sfruttamento dell’energia conservata. Tramite un processo catalitico, l’acido formico ritorna ai suoi componenti originari, CO2 e idrogeno, quest’ultimo pronto per essere utilizzato. E’ stato così sviluppato un prototipo compatto in grado di produrre 2 kilowatt di potenza, e due società hanno già acquistato una licenza per sviluppare questa tecnologia: Granit (Svizzera) e Tekion (Canada).

Immaginate per esempio di avere pannelli solari sul tetto“, dice Gabor Laurenczy, professore presso il Laboratorio di Chimica Farmaceutica e Metallorganica e Responsabile del Group of Catalysis for Energy and Environment. “In caso di maltempo o di notte, la batteria ad acido formico rilascerà l’eccesso di energia immagazzinata quando c’era il sole. In una tale configurazione, il metodo può restituire più del 60% dell’energia elettrica originale.”

Con questo metodo è possibile immagazzinare quasi il doppio di energia  a parità di volume. Un litro di acido formico contiene più di 53 grammi di idrogeno, rispetto agli appena 28 grammi per lo stesso volume di idrogeno puro pressurizzato a 350 bar.

Infine, i ricercatori hanno sviluppato un processo catalitico basato su un complesso di ferro, nel ‘gergo della chimica’ identificato dalla simbologia [FeH(PP3)]BF4, disponibile e poco costoso rispetto ai “nobili” metalli come il platino e il rutenio solitamente utilizzati in questo tipo di reazioni. Come per tutti i catalizzatori, la reazione li lascia perfettamente indenni e pronti per un nuovo utilizzo non appena assolto il loro scopo.

Molto probabilmente sarà proprio nel campo automobilistico che lo sviluppo del sistema possiede il maggiore potenziale. Attualmente, i prototipi realizzati da alcuni costruttori di automobili a idrogeno, lo utilizzano nella sua forma più convenzionale, il che comporta problemi quali il rischio di esplosione, progettazione complicata da serbatoi pressurizzati di grande volume, difficoltà di riempire il serbatoio in modo rapido, ecc.

Questa soluzione sembra invece promettere uno stoccaggio dell’idrogeno più performante ed una velocità di rifornimento allineata con quella di altri carburanti liquidi. Dal punto di vista tecnico, il tutto è perfettamente riproducibile, e anche se il costo per un prototipo rifinito e di dimensioni normali potrebbe risultare ancora proibitivo, un certo numero di importanti case automobilistiche hanno già contattato il gruppo di ricerca.

Promettente, anche se fin troppo immatura, non si preoccupino i bigoilisti (termine sgraffignato a Oca Sapiens, che sottintende gli arcigni mercanti del petrolio): occorreranno ancora diversi anni prima che gli automobilisti possano fermarsi al primo formicaio per riempire i loro serbatoi del loro energetico succo!

Fonte: PhysOrg, Article first published online: 10 NOV 2010 DOI: 10.1002/anie.201004263; informazioni di supporto da Angewandte Chemie International Edition (PDF)


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