Emanuela Riverso28 febbraio 2013
“Perché il fuoco non muore” è il verso finale di una poesia che Pablo Neruda ha dedicato a Tina Modotti, nata a Udine nel 1896 e morta in circostanze misteriose nel 1942 a Città del Messico, in occasione della sua scomparsa. Una leggendaria figura femminile la cui bellezza ha stregato molti uomini e la cui curiosità ha affascinato tanti artisti sino al fatale incontro con il celebre fotografo Edward Weston che l’ha iniziata all’arte della fotografia: Tina Modotti da attrice e modella divenne un’appassionata fotografa e catturò nuove e innovative immagini, non il bello ma il reale, la povertà, il popolo. L’ambiente ed il periodo storico l’avvicinarono gradualmente anche alla politica, divenne attivista e viaggiò in Europa per conto del Partito Comunista, vivendo la delusione di anni molto difficili e spostandosi in continuazione fra Berlino, Parigi, Barcellona e Mosca. Povertà, arte, amore, politica e rivoluzione, tutto fece intensamente parte della vita di Tina Modotti che in una lettera a Weston nel luglio del 1925 scrisse: «sono sempre in lotta per plasmare la mia vita secondo il mio temperamento e i miei bisogni – in altre parole metto troppa arte nella mia vita – troppa energia – e di conseguenza non mi resta da dare molto all’arte» (cit. da Vita, Arte e Rivoluzione. Lettere a Edward Weston, a cura di Valentina Agostinis, pubblicato da Abscondita). Proprio il suo temperamento in poco tempo la divorò e, come scrive Pino Cacucci nella biografia Tina (Feltrinelli), la rese «l’ombra della donna immortalata da Weston, l’involucro passivo di tutte le lacerazioni prodotte dall’epoca più intensa e violenta di questo secolo». In Italia è uscito da qualche mese il film Perché il fuoco non muore – La vita agra di Tina Modotti in cui Beppe Arena, nella duplice veste di regista e protagonista maschile, ha ripercorso l’esistenza della celebre fotografa: un unico ambiente e due personaggi nell’ultima notte di Tina fra il 5 e il 6 gennaio 1942. Forse nel momento in cui si affronta la morte si ripercorre tutta la vita e così in questa pellicola, in un lungo dialogo fra Tina e quello che lei crede sia l’ennesimo funzionario a cui dover rispondere, ricorda le sue vicende personali fra incontri e passioni, amori e dolori. Un esperimento coraggioso e riuscito che coinvolge e appassiona chi già conosce biografia e opere di Tina Modotti e suscita l’interesse e l’entusiasmo di chi vi si accosta per la prima volta.
Dopo una ventennale carriera teatrale che lo ha visto curare la regia di importanti e prestigiosi lavori e collaborare con i grandi nomi del teatro italiano (solo per citarne alcuni, il Satyricon di Bruno Maderna, La dodicesima notte di William Shakespeare con Mario Scaccia, Medea di Franz Grillparzer con Daniela Poggi), Beppe Arena approda alla cinematografia con questa sua opera prima. Lo abbiamo incontrato a Cremona, la città in cui risiede abitualmente, e con grande disponibilità ha risposto alle nostre domande.
Nel 2006 ti sei occupato della regia dello spettacolo teatrale Perché il fuoco non muore – La vita agra di Tina Modotti, con il ruolo della protagonista affidato a Daniela Poggi. Come nasce l’idea di una trasposizione cinematografica?
«La trasposizione cinematografica nasce dalla noia e da una consapevolezza: se fai teatro non rimane nulla se non nel ricordo; il soggetto della Modotti era il più adattabile, un personaggio storico che si prestava più facilmente alla trasposizione cinematografica rispetto ad altri; è un film che tanti hanno pensato di realizzare, ma sinora sono stati prodotti solo documentari. Tina Modotti è tra l’altro un personaggio storico che mi consentiva di eseguire una cosa intellettualmente onesta toccando per esempio il tema dell’emancipazione femminile. La pellicola nasce in effetti dallo spettacolo teatrale, ho lavorato con Francesco Niccolini sul testo teatrale, mentre il passaggio al film è stato effettuato con alcuni miei cambiamenti: l’ho modificato, ho spostato dei pezzi, ho tagliato qualcosa per rendere il tutto un po’ più filmico nel linguaggio, sino ad ottenere un testo molto equilibrato che non togliesse e donasse qualcosa in più agli altri».
La cantante Madonna è una grande ammiratrice di Tina Modotti, possiede anche uno degli scatti più cari della nota fotografa. In genere le donne sono molto affascinate e incuriosite da questa figura femminile. Cosa ti ha colpito di questa artista forte, determinata, complessa e fragile allo stesso tempo?
«Non amo particolarmente Tina Modotti; ciò che me la fa diventare simpatica è la sua istintività: ha sì guadagnato nel fare certe cose, ma ci ha anche rimesso e ha pagato in proprio; ha avuto coraggio nell’essere onesta e nello sfruttare certe conoscenze. Istintiva ma non coerente e sicuramente non una santa. Mi è simpatica perché in questa viltà totale, questa falsità, Tina Modotti si è anche venduta: la realtà più becera e bassa entra nella sua vita, ed alcune scelte che ha fatto non sono state dettate dall’interesse. Come per esempio quando al rientro dalla Russia ha avuto il coraggio di raccontare la sua esperienza e di svelare che il faro della civiltà non era tale. Tina Modotti non era dunque un esempio di coerenza, ma seguiva il proprio istinto pagando sempre e senza sconti le sue scelte. Poi è stata schiacciata dal meccanismo, come capitava a tutti; soli non si riesce a fare nessuna rivoluzione».
I mezzi per la realizzazione del film sono stati limitati, le riprese sono avvenute di notte, i personaggi sono due, il tutto si svolge in un unico ambiente. Un esperimento coraggioso e riuscito che ha richiesto le energie e la passione di tutti coloro che vi hanno contribuito. La tua idea è di poterlo rigirare con l’ausilio di maggiori mezzi?
«È un lavoro non finito che con maggiori mezzi economici, non molti, riuscirebbe ad avere un mercato certo per esempio in America Latina dove la figura di Tina Modotti è molto amata e apprezzata. Lavorerei di più sui dettagli e con più cura sui particolari, sullo sguardo, sulla mano; lo renderei più cinematografico accorciandolo di dieci minuti. È stato molto complicato realizzare questa prima versione perché le scene appena girate, potevo rivederle solo il giorno successivo e non come normalmente si fa sul monitor appena dopo: ascolti, vedi e correggi subito. Mi piace però l’aver girato in un unico ambiente con poche scene fuori, manterrei questa caratteristica».
Qualcuno definisce il film “teatrale”, ci puoi spiegare cosa vuol dire.
«È la forza straordinaria di questo film: due attori in una stanza che raccontano una storia così impegnativa da un punto di vista poetico, politico, senza annoiare; è un’impresa difficilissima che a noi è riuscita. È teatrale perché ci sono due attori che recitano; quasi non si è più abituati a vedere due persone che recitano in un film, ma recitiamo in una maniera non eccessiva, senza mai caricare troppo, anche nelle espressioni del viso non ci sono delle maschere e i movimenti sono minimi».
Sei stato regista e protagonista maschile del film accanto a Grazia Piccinelli che con il suo talento, che tu stesso hai definito naturale e istintivo, ha vestito i panni di Tina Modotti; sei riuscito a tenere sempre tutto in sospeso fino alla fine del film, sfumando i nomi dei vari personaggi maschili che hanno fatto parte della vita di Tina e che vengono rievocati nella conversazione fra i due protagonisti.
«La parte maschile è straordinaria, molto coinvolgente, perché fai tutto e sei tutto; in certi momenti non devi essere niente, devi scomparire; è un personaggio davvero meraviglioso. Per abitudine, da anni, non faccio niente per caso e non spiego sempre le mie ragioni, spesso non ne ho voglia, altre volte non capirebbero, altre volte ancora, le ragioni si capiscono alla fine, per ogni cosa che c’è nel film, compreso il mio personaggio, c’è una ragione. Si parla di Tina Modotti ma è sempre tutto in sospeso, tu segui la vicenda e dimentichi che è un personaggio storico; era proprio quello che volevo io, volevo che non fosse una cosa troppo vera, perché se una cosa è troppo vera la limiti esclusivamente a quel personaggio, non riesci a identificarti con lui, non riesci a dare un senso più ampio alle cose. È la scritta finale sulla morte di Tina Modotti a riportarti alla realtà. E il film bisogna vederlo tutto, fino a quella scritta finale che ti fa riconsiderare tutto. La realtà è dunque in fondo, quando tutto è concluso».
Perché il fuoco non muore – La vita agra di Tina Modotti è stato proiettato a settembre al Busseto Music Film Festival. Ci sono altre proiezioni o progetti legati a questo film che ti va di anticiparci?
«Partecipare al Busseto Music Film Festival è stata una grande soddisfazione; il film è stato proiettato proprio qualche giorno fa anche presso la Galleria Scoglio di Quarto a Milano e proseguiamo le proiezioni dove ci vengono richieste. A questo proposito siamo molto aperti. Chi ha curiosità di vedere il film ci contatti pure».
Per le immagini inserite in questo articolo si ringraziano Filippo Iorio e Beppe Arena