È sera, nel ristornate dell’albergo è un viavai di persone, Caroline è col suo computer, intorno a lei solo sconosciuti. Alcuni in viaggio, altri con amici e altri ancora in coppia, alcuni sembrano poco loquaci, altri rumorosamente felici. Un tavolo attira la sua attenzione, e Jakko la nota. Lei è architetto, lui un dj che viaggia di concerto in concerto. Lui è finlandese, lei è francese. Non parlano la stessa lingua ma condivideranno una sera fatta di sguardi e divertimento. Non è amore a prima vista, è curiosità, sintonia, voglia di mettersi alla prova (forse), di evadere e non pensare sino all’indomani (sicuramente). E il giorno seguente Caroline è molto meno romantica. Ci penserà un vulcano a forzare i due nella stessa camera, bloccati in quel luogo per 36 ore in cui scopriranno molto l’uno dell’altro, scivolando in un territorio in cui non avevano intenzione di addentrarsi.
Spenderemo poco meno di un paio di ore con loro, staremo per lo più in una anonima e luminosa stanza di albergo, li vedremo spesso inquadrati da vicino, lei con gli occhi di lui, lui attraverso quelli di lei. Tiferemo per uno poi per l’altra e poi di nuovo per il primo. Entreremo inconsapevolmente nelle vite di questi sconosciuti e ci ritroveremo a sorridere, a sperare, a sognare con (e al posto) loro. È l’empatia a rendere 2 YÖTÄ AAMUUN (2 Nights till Morning) efficace: nessuna digressione, nessuna scena ammiccante, nessun lembo di pelle gratuitamente regalato allo spettatore. Con semplicità e linearità, senza imporci in giudizio, per 100 minuti ci fa sentire parte della storia, facendoci dimenticare che Caroline e Jakko non siano reali.
Marie-Josée Croze in una scena di 2 Nights till Morning – Photo: courtesy of BFM 34Il debutto in lingua inglese del regista Mikko Kuparinen, presentato in concorso al 34° Bergamo Film Meeting, dimostra come anche al secondo lungometraggio, e in assenza di un budget da capogiro, si possa creare un bel film che unisca sentimento, ironia e dramma. Il cineasta non si sente Richard Linklater e i suoi protagonisti non filosofeggiano sotto il sole della Grecia, sono a Vilnius bloccati da una nube di fuliggine, e non sono le parole ma alcuni innocenti gesti a svelarci molto della loro essenza. Anche il fascino di Caroline (Marie-Josée Croze, premiata nel 2003 a Cannes per la sua interpretazione ne Le Invasioni Barbariche e vista recentemente in Every thing will be fine) è atipico, è discreto e in linea con il profumo che si respira nella suite occupata dal suo compagno si (s)ventura (Mikko Nousiainen).
Ognuno di noi, almeno una volta, avrebbe voluto ottenere dal fato il tempo di conoscere l’uomo/la donna dallo sguardo intrigante del tavolo a fianco. Ognuno di noi, più di una volta, è rimasto sorpreso dalla velocità con cui le persone si sono rivelate differenti dalla prima impressione. Molti di noi, nei rapporti con gli altri, convivono con una sensazione di incompiuta. La bravura di Kuparinen sta nell’averci regalato una favola dolce e amara in cui la comunicazione (non) verbale è tutto e averci piacevolmente illuso fosse reale. E noi, abbiamo provato sottile e silenziosa invidia: i suoi personaggi, con le loro imperfezioni e cadute, sono più vivi di noi.
Vissia Menza