La guerra nei Balcani ha fatto da sfondo a molti film. Nonostante si tratti di un’ostilità che arriva da lontano, l’ultimo sanguinoso scontro in quelle terre appartiene al passato recente. Negli anni ’90 ero più che adolescente, ero una giovane universitaria che seguiva le notizie con enfasi e timore e ci si perdeva dentro. Non ho mai compreso come l’odio tramandato dai padri potesse sfociare in battaglie combattute dai figli per difendere torti non vissuti e principi di un altro tempo. Non conosco bene i trascorsi di quelle terre, ascolto sempre con interesse i racconti di chi ci ha vissuto e credo che anche una storia narrata per immagini sia in grado di offrire buoni spunti di riflessione.
Sino a ieri non sapevo neppure che all’attenzione dell’Academy quest’anno fosse arrivato un lungometraggio serbo, Enklava (Enclave), in cui viene mostrato uno scorcio della vita di Nenad (un bravissimo Filip Subarić).
Un’immagine del film ENKLAVA di Goran Radovanović – Photo: courtesy of BFM 34Nenad è serbo e vive in una piccola enclave cristiana in Kossovo. Siamo nei primi anni 2000 e Nenad va a scuola (in un palazzo desolato delle Nazioni Unite) a bordo di un blindato delle forze di pace KFOR. Ma anche un carrarmato non è in grado di impedire che il piccolo sia bersaglio di tutti, soprattutto dei coetanei, a causa delle sue origini. I bambini della zona, nonostante la giovane età, trasudano, infatti, il disprezzo degli avi, dalle loro bocche escono frasi senza senso ed è palese non sappiano il motivo di tanto rancore. Semplicemente ai loro occhi “è così”.
Enklava è una di quelle pellicole che inizialmente ti straniscono e poi, lentamente, centellinando le parole, grazie a movimenti fluidi e suoni che non stridono mai, ti entrano dentro, ti catturano e non ti lasciano sino all’ultima inquadratura. Nonostante sia dramma crediamo di essere difronte ad un ottimo thriller. Il regista Goran Radovanovic rappresenta la realtà per quella che è: un triste percorso di sofferenza destinato a durare per sempre, in cui aleggia il timore che il futuro non sia per nulla al sicuro. Neppure i bambini sono più innocenti.
In Enklava non si sfruttano espedienti traumatici e i dialoghi, anche se non dispensano orrori, nella loro pacatezza son taglienti. Ed è proprio quella quiete (accompagnata da una luminosità diffusa) ad essere tanto spiazzante e a rendere tutto tremendo. Ciò che stupisce è la disamante normalità e quei fanciulli, dal tratto indurito, che al posto di giocare preferiscono prendere a sassate un mezzo in transito o discriminare un coetaneo. E poi c’è il nostro giovane eroe che non piange mai, che non si lamenta, che è incrollabile e nonostante tutto lui sa perdonare.
Si arriva alle battute finali col fiato sospeso e alla fine quel lumicino di speranza è talmente agognato da sembrare un miraggio. Ora neppure noi abbiamo certezze per il domani.
Vissia Menza