Bergamo Film Meeting: “Louise Michel, la rebelle” di Sólveig Anspach

Creato il 14 marzo 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Lo spettro si aggira per le piazze

all’Hotel de Ville in fiamme

appare agli orologi a Saint-Lazare

La ghigliottina brucia sotto gli occhi di Voltaire

mentre canta Louise Michel

mai più carne all’uomo e schiavi ai re

Marco Rovelli, La comunarda

Il primo impatto con l’edizione 2014 del Bergamo Film Meeting, in sintonia con una tradizione per cui in genere sono le retrospettive a soddisfare di più, è stato a dir poco esaltante, merito questo di una straordinaria cineasta: Sólveig Anspach. Si sapeva già che il focus ribattezzato “Europa: femminile, singolare”, uno spazio dedicato a lei e ad altre colleghe non meno brave come Antonietta De Lillo e Jessica Haussner, avrebbe offerto parecchie sorprese. Una di queste ha coinciso col primo film da noi intercettato a Bergamo, il giorno stesso dell’arrivo. Trattasi di Louise Michel, la rebelle, accorato e vibrante ritratto dell’indomabile comunarda, deportata insieme a tanti altri compagni nelle colonie penali della Nuova Caledonia.

Prima di dedicarsi nel 2008/2009 a questo impegnativo progetto, Sólveig Anspach, regista islandese di nascita ma francese di formazione, aveva già diretto diverse opere sia documentarie che di finzione. Tali lavori sono stati sovente il frutto di ispirazioni e ricerche molto personali. Nel caso del biopic dedicato alla comunarda francese in esilio le cose sono andate diversamente: il film le è stato proposto inizialmente da un produttore, ma, come lei stessa ha raccontato durante un incontro col pubblico, il copione le era parso così scadente e superficiale da farla insistere con chi glielo aveva commissionato, affinché le permettesse di riscriverlo da capo. Dopo tanta insistenza il produttore ha ceduto. Ed è impressionante vedere come la Anspach abbia fatto suo il film, riuscendo a mantenere un miracoloso equilibrio tra la veridicità della ricostruzione storica e l’attualità dei temi ivi analizzati, tra il ricordo fiero ma al contempo doloroso della Comune di Parigi e la scoperta delle vecchie/nuove ingiustizie coloniali, tra l’ammirazione per una personalità femminile estremamente forte e il rispetto delle lotte sociali per cui la protagonista si è battuta sempre, fino alla fine.

In questo Sólveig Anspach si è appoggiata bene all’intensità dello sguardo e alla grande espressività che l’attrice francese Sylvie Testud è in grado di esprimere, soprattutto nei primi piani; vi sono piani ravvicinati, nel film, che sembrano amplificare la portata delle parole di Luoise Michelle, parole rivolte contro ogni forma di oppressione e a sostegno delle più genuine rivolte popolari, così da veicolare il messaggio oltre le barriere del tempo e attraverso lo schermo cinematografico, raggiungendo così lo spettatore distratto di oggi. In questi suoi discorsi l’eroico e triste destino dei deportati della Comune andrà a mescolarsi con l’altra violenta repressione perpetrata dal governo francese, quella ai danni delle popolazioni che abitano i territori d’oltremare; come i Kanaki, abitanti originari di quella Nuova Caledonia i cui paesaggi incantati, immersi nell’esotica cornice dell’Oceano Pacifico, tessono un dialogo muto con le sofferenze e con la speranza di riscatto degli uomini, delle donne e dei bambini che vi sono stati condotti a forza.

Quale commento finale alla profonda bellezza di questo biopic, in cui temi di grande spessore politico/sociale si fondono col pathos genuino dato da determinati stati d’animo e dall’ambiente, così peculiare, in cui maturarono, riportiamo alcune dichiarazioni della stessa Anspach. Così da contestualizzare meglio l’attualità di un’opera girata in costume, ma con una freschezza di linguaggio e di intenti che va rimarcata: “Ho l’impressione che la Comune, in senso ampio, e Louise Michel in particolare, siano molto attuali. Fanno eco a quello che vivono oggi le persone nel quotidiano, non soltanto le donne ma le persone che vivono nella miseria, coloro che non hanno un permesso di soggiorno, gli operai e i lavoratori”.

Stefano Coccia  


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