Kreuzweg
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1) Kreuzweg (Via Crucis) di Dietrich Brüggemann
Un film tedesco che finora è la vera sorpresa del festival. Una ragazzina sceglie la strada del martirio e del sacrificio di sé per salvare il fratello. Echi di Dreyer, Bergman, Mungiu. Da Orso d’oro.
2) The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson.
Forse il miglior Wes Anderson di sempre, il suo film più adulto. Si merita ogni premio possibile.
3) Tui Na (Blind Message) di Lou Ye.
Un gruppo di ciechi raccolti intorno a un centro massaggio di Nanchino. Pietismo zero, e una macchina da presa tattile e mobile e volutamente confusiva e brancolante che cerca di restituire la percezione del mondo dei non vedenti, o meglio, rendendo noi spettatori (parzialmente) non vedenti. Son tra i pochi ad averlo apprezzato, credo.
4) ’71 di Yann Demange.
Un film inglese su un episodio della guerra a Belfast nei primi anni Settanta. Prima parte di altissimo livello.
5) Jack di Edward Berger.
Un ragazzino e il fratello piccolo lasciati soli da una madre narcisa e irresponsabile. Ambientato a Berlino. L’applauso più lungo del pubblico del festival. Molto probabilmente lo troveremo tra i premiati.
6) Aimer, boire et chanter di Alain Resnais.
A 92 anni Resnais si conferma un maestro di quei suoi giochi di rimbalzo (fin dai tempi di Marienbad) tra realtà, finzione, illusione, inganno. Dove l’artificio è una strategia di disvelamento del vero. Stavolta mette in cinema, trasformando il cinema in teatro, il play del 2010 di Alan Ayckbourn Life of Riley. Un incanto, come tutti i film di Resnais degli ultimi quindici anni.
7) La voie de l’ennemi (Two Men in Town) di Rachid Bouchareb
Meglio di quanto mi aspettassi, questo remake in terra americana (alla frontiera con il Messico) di un polar di José Giovanni, variazione ennesima sull’archetipo del galeotto alla ricerca (vana) di redenzione. Forest Whitaker e Brenda Blethyn, strepitosa, potrebbero portarsi a casa i premi come migliori attori.
8) Die Geliebten Schwestern (The Beloves Sisters) di Dominik Graf.
Schiller e il suo amore per due sorelle, di cui una diventerà sua moglie. Un triangolo con uso di lettere classiche ricostruito in un period movie troppo lungo e dell’evidente destinazione televisiva, ma girato con brio, sveltezza, piglio contemporaneo e senza enfasi e paludamenti.
9) Kraftidioten (In Order of Disappereance) di Hans Petter Moland
L’ennesimo noir scandinavo (siamo in Norvegia), stavolta indirizzato con decisione verso il revenge movie. Con qualche tarantinata e qualche slittamento nel grottesco. Non male, ma non proprio da festival, e troppo derivativo. Poi io, che ci volete fare, il thriller scandinavo non lo reggo proprio.
10) Historia del miedo di Benjamin Naishtat
Ormai è raro incontrare nel concorso di un festival di fascia alta una ciofeca assoluta. Questo pretenziosissimo quanto confuso e sballato film argentino lo è.
Commento. La qualità media è buona. La linea della sufficienza si colloca all’ottavo posto (incluso). Al di sotto i restanti due. Forse non ha molto senso mettere in concorso gente come Wes Anderson e Alain Resnais, che ormai è da storia del cinema (se li premi sai di ovvio, se non li premi rischi l’accusa di lesa maestà). Ma a a segnare finora questa Berlinale è la riscossa del cinema tedesco: tre film presentati finora, e due di livello alto.