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Berlinale 2015. EVERY THING WILL BE FINE di Wim Wenders (recensione)

Creato il 11 febbraio 2015 da Luigilocatelli

201511036_4Every Thing Will Be Fine di Wim Wenders. Con James Franco, Rachel McAdams, Charlotte Gainsbourg, Marie-Josée Croze, Patrich Bauchau. Fuori concorso.201511036_6Gelo alla proiezione stampa. Eppure Every Thing Will Be Fine non è niente male, il più bergmaniano dei film di Wim enders. Tomas incappa in unncidente da cui uscirà devastato. Ottimo James Franco. Voto 7
201511036_3Non è andata così bene in questa Berlinale, almeno alle proiezioni-stampa, ai Venerati Maestri. Per Malick solo qualche applauso di cortesia e molti malumori, per Herzog neanche gli applausi di cortesia, e stamattina gelo alla fine dei 118 minuti del nuovo Wenders, tornato al non-documentario dopo Pina e Il sale della terra. Già tirava aria cattiva, i quotidianisti che l’avevano già visto avevano lasciato trapelare un ‘fa proprio schifo’. Invece, signori, Every Thing Will Be Fine è decorosissimo, anche se non all’altezza del maggior Wenders, peraltro ormai lontanissimo nel tempo (in my opinion, l’ultimo suo vero grande film è Lo stato delle cose). Forse oggi WW sconta anche il fatto di essere stato a lungo, per decenni, largamente sopravvalutato, e chi lo amava forsennatamente e acriticamente adesso gli si rivolta contro oltre ogni ragionevolezza, con il livore dell’innamorato deluso. Sì, questo film ha il torto, agli occhi del recensore rigoroso e autorialista vecchia scuola, e anche dei ragazzini e ragazzacci della nouvelle crtique, di trattare di sentimenti, cosa, si sa, ritenuta massimanente sconveniente e volgare, anche quando – come in questo caso – confezionata col massimo della signorilità registica. A me invece è sembrato il più bergmaniano dei suoi lavori, anime lacerate e rose dalla colpa e incapaci di non farsi del male in un paesaggio, almeno nella prima parte, da grande nord sommerso dalla neve, tra alti campanili e tetti aguzzi. M’è parso di capire che trattasi di Canada, ma Wenders fa di tutto per farlo somigliare alla Svezia di Luci d’inverno, di La vergogna, di Persona, e ci riesce abbastanza. Tomas, di mestiere scrittore, e di un certo successo, incappa in uno di quegli incidenti che ti stravolgono la vita, te la devastano. Un ragazzino sullo slittino gli taglia la strada e lui non ce la fa ad evitarlo. Quel ragazzino, di nome Christopher, si salva, non il fratellino che era con lui. Come si fa a vivere dopo che hai ammazzato, anche se non ne hai nessuna colpa, un bambino? Sta qui il nocciolo del film, il groviglio che Wenders pazientemente dipana per due ore di film che prendono dieci anni nella vita di Tomas, a partire da quel momento. La sua storia con la fidanzata Sara ne esce distrutta, lui fatica a ricostruirsi, aiutandosi anche con il lavoro, con il mestiere della letteratura. Va a cercare la madre del bambino, ne ottiene, se non il perdono, almeno una tacita comprensione. Trova una compagna, con una figlia che diventerà anche sua. Ma, come nei romanzi popolari, il passato ritorna e presenterà i conti. Da quel manierista che è, che è sempre stato, Wenders impagina il suo dramma psicologico in quadri di levigata perfezione, usa (come ha sempre fatto, mutuando la lezione di Antonioni) il paesaggio come estensione e visualizzazione dell’interiorità dei personaggi, non scade nel sentimentalismo, riduce al minimo le parole, asciuga il più possibile. Non va granché a fondo negli abissi mentali e nelle lacerazioni del suo protagonista e degli altri, del resto non è mai stato un indagatore di cuori e anime, ha sempre navigato con la sua cinepresa sulla pelle, sulla superficie. Ma questo è un film onesto, sobrio, che merita di essere visto. Anche ben recitato da un James Franco ormai inquartato, e però più maturo e capace di sottgliezze e sfumature. A Charlotte Gainsbourg tocca, ovviamente, la parte della mater dolorosa.


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