Premessa. Questi sono i film più attesi del Berlino Festival n. 65 che domani 5 febbraio va a cominciare. Non sempre i più attesi da me. In certi casi le liste coincidono (come per Malick, Herzog, Larrain), in altri no, perché io più che Cinderella son qui ad aspettare – tanto per fare un paio di esempi – il nuovo Alex Ross Perry di Queen of Earth o Viaggio nella dopo-storia di Vincent Dieutre. Ma procediamo con i 16 titoli.
1) Knight of Cups di Terrence Malick
Come si fa a non aprire la lista con colui che ci ha dato il film più bello della decade e forse di tutti gli anni Duemila, intendo The Tree of Life? Che ha accettato di portare qui a Berlino questo suo nuovo e ancora misterioso Re di coppe, titolo ovviamente ispirato alle carte da gioco (che ci sia anche un che di Jodorowsky?). L’ultima sinossi rilasciata dalla produzione parla di ‘flusso di coscienza’ per immagini e visioni. Mah. Da quel poco che s’è potuto capire, visto il segreto che ha circondato set e post-produzione, dovrebbe trattarsi della storia di un uomo nella Hollywod Babilonia dilaniato tra la carne e, ebbene sì, lo spirito (non dimentichiamo il côté filosofico di Malick). Dovremmo trovarci tra il cosmico, il mistico, il misterico e l’esoterico, insomma puro Malick. Che a Berlino, converrà ricordarlo, ha vinto a suo tempo l’Orso d’oro con La sottile linea rossa e forse è stato quello a convincerlo a portare Knight of Cups, e in concorso oltretutto. Quelli che hanno odiato To the Wonder, e sono tanti, han già tirato fuori il bazooka.2) Everything Will Be Fine di Wim WendersA Wenders verrà consegnato il premio alla carriera (e prima o poi doveva succedere che la Berlinale si ricordasse del regista di Il cielo sopra Berlino). Nella serata cerimoniale verrà dato L’amico americano in versione restaurata, mentre questo Everything Wil Be Fine, il nuovo lavoro di WW, sarà proiettato in pompa magna fuori concorso. Ritorno del regista, dopo i furbi docu Pina e Il sale della terra, al cinema di fiction, e speriamo bene. Un uomo finisce nella crisi più nera dopo un incidente in cui c’è stata una vittima. Tutto torna in discussione, lato pubblico e faccende private. Con James Franco e Charlotte Gainsbourg, onnipresenti ai festival, più Rachel MacAdams.
3) El Club di Pablo Larrain
Dopo i tre film dedicati al Cile di Allende e Pinochet (Tony Manero, Post Mortem e No), uno meglio dell’altro, Pablo Larrain, attesissimo, è qui con un film che si butta su tutt’altri temi. Indagine su una comunità di preti, più una suora, in una piccola città della costa cilena, tra contraddizioni e lacerazioni. In concorso. Potrebbe essere la definitiva consacrazione di Larrain.
4) Queen of the Desert di Werner Herzog
Sempre più americano come autore, Herzog torna con un film all-stars (Nicole Kidman, James Franco, Robert Pattinson) e uno dei suoi personaggi bigger than life, con tanto di incombenti paesaggi naturali da sfidare. La Fitzcarraldo del caso è Gertrude Bell, avventurosa signora inglese che esplorò nel primo Novecento parecchio di quello che chiamiamo Medio Oriente. Non disdegnando gli intrighi politici a favoro di Sua Maestà. Occhio, c’è Robert Pattinson quale Lawrence d’Arabia. In concorso.
5) Eisenstein in Guanajuato di Peter Greenaway
E in competizione per l’Orso c’è pure Greenaway. Il quale mette in scena a modo suo una storia irresistibile, il travagliato soggiorno latinoamericano di Eisenstein ai tempi del tournage del suo leggendario Que viva Mexico! (da noi Lampi sul Messico).
6) Journal d’une femme de chambre di Benoît Jacquot
Sì, proprio Il diario di una cameriera di Octave Mirbeau portato in cinema da Luis Buñuel a metà anni Sessanta con Jeanne Moreau. Stavolta con Léa Seydoux, la più star delle star francesi d’oggi. La soffocata e ipocrita vita borghese di provincia – siamo nella Normandia del 1900 – vista attraverso gli occhi di una femme de chambre. Jacquot torna a Berlino in concorso dopo il successo nel 2012 del suo assai bello Les adieux à la reine, chissà perché mai arrivato in Italia. E dopo il non-successo di Tre cuori all’ultimo Venezia, che si meritava un’accoglienza meno glaciale di quella decretatagli dal critico medio-unico italiano.
7) Vergine giurata di Laura Bispuri
L’unico film italiano del concorso. Di una regista al suo primo lungometraggio, ma con l’attrice nostra più international, piaccia o meno, ovvero Alba Rohrwacher. Da un libro dell’albanese Eva Dones, la strana e anche drammatica storia di una donna che, per essere più libera lassù nel suo villaggio sui monti tra Albania e Kosovo, si fa uomo, votandosi alla verginità. Un cambio sociale di genere consentito dalla legge clanica che regola l’Albania arcaica, il Kanun. Una storia forte, e anche a rischio grevità, che ha tutto per piacere qui in Germania.
8) Taxi di Jafar Panahi
Ma a Panahi è ancora proibito di girare film nel suo Iran? Dalle sue dichiarazioni abbastanza criptiche par di capire che questo Taxi l’abbia realizzato semiclandestinamente. Vari passeggeri salgono sul cab con alla guida un driver che altri non è che lo stesso Panahi. Teheran vista attraverso una macchina, e i racconti di chi ci sale. In concorso.
9) Aferim! di Radu Jude
Film rumeno molto atteso, e secondo me uno dei favoriti qualora i pezzi da novanta in competizione non convincessero. Prodotto dalla coraggiosa Ada Solomon che qui a Berlino portò due anni fa Child’s Pose, e se ne tornò via con l’Orso d’oro. Un colossal, per le dimensioni della cinematografia rumena, che in un autoriale bianco e nero vuol scoperchiare uno dei grandi rimossi del passato nazionale, la segregazione al limite della schiavitù dei rom. 1835, due uomini danno la caccia a uno schiavo zingaro che se n’è scappato via dai suoi padroni. Aferim! potrebbe scatenare in Romania, e già qui alla Berlinale, una vera culture war.
10) Fifty Shades of Grey di Sam Taylor-Johnson
Dai trailer sembrano leccatissime e glamourissime, dunque inodori e insapori, queste 50 sfumature di grigio. Da uno dei libri più venduti e fatui delle ultime decadi. Però attenzione, alla regia c’è una donna di rispetto come Sam Taylor-Wood, fotografa e tipa assai fashionista ma di sicuro e, quando vuole, anche inquietante talento. Già regista dell’interessante Nowhere Boy, ritratto di John Lennon da giovane. Qui lo si vedrà (non in concorso) in prima mondiale l’11 febbraio, ma tranquilli e tranquille, il 12 sarà già nei cinema italiani.
11) Life di Anton Corbijn
Il fotografo-regista olandese Anton Corbijn è molto amato da queste parti, tant’è che un paio di anni fa (o tre, non ricordo esattamente) era anche in giuria. Nel frattempo ha girato il buono, e sottovalutato, The most wanted man con Philip Seymour Hoffman, e adesso porta – è uno degli Special Gala del festival – questo Life. 1955, il fotografo Dennis Stock incontra un James Dean ancora sconosciuto ma, intuendo di cosa sia fatto il ragazzo, decide di fotografarlo per Life. Sarà un inseguimento, ma alla fine ne usciranno foto memorabili. Il film ricostruisce quell’incontro-scontro con Dan DeHaan quale James Dean, e sulla carta è la migliore scelta possibile. Robert Pattinson, sempre più attore da festival (è qui anche con Herzog), è Stock.
12) Mr Holmes di Bill Condon
Ian McKellen si porta avanti, interpretando un 93enne, no, non uno qualsiasi, ma Sherlock Holmes. Il quale, alle soglie dei cent’anni, guarda con distacco alla leggenda che si è creata intorno al suo nome e non vi si riconosce. Ormai dedito all’apicoltura, il venerabile ex detective dovrà ridiscendere in campo per dipanare un caso misterioso. Tratto da un bestseller, ovvio. In concorso. Condon aveva già diretto McKellen nel notevole, e da lui mai più superato, Demoni e dei.
13) Cinderella di Kenneth Branagh
Ma sì, la sempre ritonante Cenerentola, stavolta in versione di lusso e con qualche pretsa autoriale per via della direzione di Branagh. L’attesa è tutta per la matrigna-strega di Cate Blanchett.
14) El Botón de Nacár di Patricio Guzmán
I cinefili estremi, che qualche anno fa caddero in ginocchio, e in deliquio di fronte a Nostalgia de la Luz, ora fremono per questo nuovo film del suo autore, il cileno Patricio Guzman. Il bottone di perla (in concorso) si annuncia come un docu visionario, una partitura per immagini sul tema-mare realizzata attravero un viaggio lungo le 2.670 miglia di costa cilena.
15) Censored Voices di Mor Loushy
Nell’euforia della storica vittoria israeliana nella guerra dei Sei Giorni – anno 1967 – lo scrittore Amos Oz, allora giovanissimo, intervista alcuni reduci. E son testimonianza che in parte contraddicono il trionfalismo di quei giorni, tant’è che i nastri vengono secretati dall’esercito. Ora il regista Mor Loushy li ha recuperati, ed è qualcosa di sicuro parecchio importante. A Panorama Dokumente.
16) Breathe Umphefumlo di Mark Domford-May
Pare che i compratori internazionali si siano già scatenati intorno a questo film sud africano dal titolo in parte inglese in parte in lingua xhosa. Mimi e Lungelo cadono innamorati, ma lei è malata. Di tisi. Sì, è proprio La Bohème di Puccini trasferita ai giorni nostri in un ghetto sud-africano. Si canta in xhosa.