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Berlinale 2015: l'ingenuo BODY di Malgorzata Szumowska e il potente EL CLUB di Pablo Larrain

Creato il 09 febbraio 2015 da Ifilms
Dettagli Scritto da Simone Soranna Categoria principale: Festival Categoria: Berlinale 2015 Pubblicato: 09 Febbraio 2015 Pablo Larrain   Berlinale 2015   Berlinale 65   BODY di Malgorzata Szumowska (concorso) Malgorzata Szumowska costruisce un film debole pedante, che si avvale di una parte centrale davvero stanca e stancante in cui la pellicola fatica a mettere a fuoco il suo primario punto di interesse. Eppure ogni tanto qualche trovata (con)vincente il film la mostra. Sicuramente i primi minuti della pellicola riescono nell’obiettivo di spiazzare il pubblico, adeguando ad una storia cruda e triste uno stile più sgangherato e ironico, capace di avvalersi di un umorismo nero sottile ma pungente. Subito dopo però Body sembra perdere le coordinate, incapace di analizzare a dovere le tre solitudini che mette in scena, relazionando i suoi personaggi in maniera frettolosa e sbrigativa e rischiando di gran lunga di sminuire gravi problematiche quali ad esempio l’anoressia. La regista polacca non riesce nemmeno ad imprimere alla pellicola una regia precisa e funzionale, rimanendo troppo spesso ingabbiata in scelte convenzionali e poco ricercate (come il grigiore pallido che connota la realtà tutt’altro che rosea in cui si muovo i protagonisti). Il film vorrebbe riflette sul corpo umano, sia inteso come corpo fisico che come espressione di vita terrena. Riuscendo infatti a strutturare una riflessione interessante sul primato tra aldilà e aldiqua, nel finale la regista si schiera nettamente a favore del concreto quotidiano, non lasciando alcun dubbio sulla vana e inefficace presenza metafisica nella vita dell’uomo. Eppure è proprio nelle due ultime inquadrature che il film sembra voler ricercare un’autorialità che poco gli si addice, strizzando l’occhio al pubblico in una maniera decisamente ricattatoria che sarebbe stato meglio evitare. Voto: 1,5/4   El Club, di Pablo Larrain (concorso) Dopo aver fatto parlare molto di sé grazie a pellicole del calibro di Tony Manero, Post Mortem e il recente No – I giorni dell’arcobaleno, il regista cileno Pablo Larrain torna dietro la macchina da presa per firmare quello che probabilmente è il suo lavoro migliore. El club infatti è un pellicola decisamente riuscita, densa di contenuti, ricca di buon cinema ed efficace nel costruire un’atmosfera cupa, tesa e potente a cui difficilmente si può resistere. Il regista si dimostra capace anche perché decide di prendere le mosse della sua riflessione tessendo una storia delicata e dai risvolti scottanti, sempre a rischio di giganteschi scivoloni che il film invece riesce a evitare sapientemente. El Club infatti racconta di una piccola casa situata sulle coste cilene in cui vivono quattro preti allontanati dal mondo clericale poiché colpevoli di peccati ignobili. Lo sguardo preciso e cinico del regista si respira lungo tutti i minuti di questo dramma in continua crescita che prova ad interrogarsi e interrogarci sul valore del perdono, sulla redenzione, sul cambiamento dell’uomo e sul rapporto tra vittima e carnefice. Il tutto senza mai scadere in scelte retoriche ed evitando facili attacchi contro la Chiesa sempre citata (e probabilmente vera protagonista della pellicola che usa la metafora del club per parlare del Club per eccellenza) ma mai completamente sotto accusa. A Larrain interessa l’uomo singolo, non l’insieme, in una continua ricerca tra bene e male, tra luci e ombre (impresse anche in uno stile fotografico così bipartito) tra presente e passato con cui tutti prima o poi dobbiamo fare i conti. Voto: 3/4

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