«Max, perché Heimpi non è venuta?»
Max parve colto di sorpresa. «Vuoi tornare a letto?» chiese.
«No» rispose Anna.
«Be’, non so se devo dirtelo, ma sono successe molte cose mentre eri malata.»
«Cosa?»
«Sai, Hitler ha vinto le elezioni. Ha preso subito in mano il potere, è successo proprio come diceva il babbo... nessuno può dire una parola contro di lui, altrimenti lo gettano in prigione.»
«Heimpi ha detto qualcosa contro Hitler?» Anna immaginava già Heimpi rinchiusa in gattabuia.
«No, certo che no. Ma il babbo sì. E lo dice ancora. E naturalmente nessuno in Germania può pubblicare quello che scrive il babbo. Così non guadagna neanche un soldo e non possiamo pagare lo stipendio ad Heimpi.»
«Ho capito. Allora siamo poveri?»
«Un po’, sì. Ma il babbo sta cercando di scrivere per qualche giornale svizzero e così andrà ancora tutto bene.» Mentre Max si alzava per andare, Anna disse tutto d’un fiato: «Non pensavo che ad Heimpi importassero tanto i soldi. Se avessimo avuto una casetta, sono sicura che sarebbe venuta lo stesso, anche se non avremmo potuto pagarla tanto.» «Be’, questa è un’altra storia» Max esitò e poi aggiunse: «Non possiamo prendere una casa, perché non abbiamo i mobili.»
«Ma...»
«Si sono beccati tutto i nazisti. Si chiama confisca dei beni. Il babbo ha ricevuto una lettera la settimana scorsa.» Max strinse i denti. «Sembrava proprio di essere a teatro, quando si vedono quelle terribili commedie, dove la gente non la smette mai di portare cattive notizie. E come se non bastasse, ci mancavi anche tu che stavi per tirare le cuoia...»
«Non stavo affatto tirando le cuoia!» ribatté Anna indignata.
«Sì, lo so che non tiravi le cuoia, ma quel dottore svizzero ha una fantasia macabra. Vuoi tornare a letto, adesso?»
«Sì, è meglio.» Anna si sentiva molto debole e Max la sostenne.
Quando fu di nuovo a letto, Anna chiese: «Max, questa, cose si chiama, confisca dei beni, ma... i nazisti hanno preso tutto... anche le nostre cose?»
Max annuì.
Anna cercò di figurarselo. Il piano non c’era più... le tende a fiori della stanza da pranzo... il suo letto... tutti i suoi giocattoli, anche il Coniglio Rosa di pezza. Per un attimo si sentì molto triste per via del Coniglio Rosa. Gli erano stati ricamati degli occhi neri, perché quelli di vetro li aveva persi anni addietro e aveva l’abitudine di crollare sulle zampe – e questo lo rendeva ancora più caro. Il pelo, anche se non era più rosa, era soffice, familiare. Come aveva potuto scegliere di portare via il cane di pezza, nuovo, senza personalità? Era stato uno sbaglio terribile e adesso non poteva fare più niente.
«L’ho sempre detto che dovevamo portare la scatola dei giochi» disse Max. «In questo momento scommetto che Hitler sta giocando con il mio gioco dell’oca.»
«E starà coccolando il mio Coniglio Rosa!» aggiunse Anna e si mise a ridere, ma le lacrime le riempirono gli occhi e cominciarono a scenderle sulle guance.
Fino a qualche giorno fa lo credevo solo un romanzo. Uno dei classici "libri per bambini che possono piacere anche ad un pubblico adulto", come lo potrebbero definire su qualche giornale. Poi mi sono trovato a spasso nello stupendo museo ebraico di Berlino e mi sono imbattuto in una sezione dedicata alla Berlino nazista il cui titolo era pressappoco questo: "E tu, cosa ti porteresti dietro?", in cui, sulla base di alcuni esempi (vd foto), si invitava il visitatore a calarsi nei panni di chi, magari nel cuore della notte, deve lasciare di corsa la casa dove ha sempre vissuto e non ha che due tasche e una borsa da riempire con gli oggetti di una vita.In quel momento "Quando Hitler rubò il congilio rosa" mi è sembrato qualcosa più di un libro.