Confesso che finora ho letto solo riduzioni giornalistiche - spesso semanticamente stiracchiate - della risposta di Napolitano alle indebite pressioni di "garantire agibilità politica" al delinquente. E confesso che - pur essendo decentemente scolarizzato - non ho fin qui capito cosa debba intendersi, esattamente, per "agibilità politica".
Inizia domani un lungo e pigro ponte di ferragosto, e - concordando con quanto suggerito fra le righe da Gatto Nero - proporrei di discuterne fra di noi, non già sulla base di libere strumentalizzazioni giornalistiche (da sinistra e da destra), ma attenendoci rigorosamente alla "real think", e cioè al comunicato ufficiale.
Confesso che ho trovato personalmente ultronei i primi due paragrafi: un "aiutino" - non so se utilie o inutile, ma certamente fuori tema - alla permanenza in vita del governo Letta. Non importa sapere se io condivida o meno la (supposta) esigenza di prolungare la vita di questo governo. Ho espresso il mio parere in decine di altri luoghi (post, commenti, risposte a commenti altrui). E se accettassi di portare la discussione su quei paragrafi, avallerei la discussione che lega il tema giuridico a quello politico. Ed è esattamente ciò che non voglio fare.
Da tutta l'azione del PdL, nei giorni precedenti questa incomprensibile richiesta di "agibilità politica", risulta chiara e sempre più oscena la tentazione di far passare il principio che "chi ha avuto i voti" sia "legibus solutus". Credo che Napolitano bene avrebbe fatto a legare ESPLICITAMENTE qualsiasi incontro e contatto più o meno formale all'accettazione formale, chiara, esplicita, senza se e senza ma, del fatto che non vi possa essere alcuna relazione fra consenso elettorale e "trattamento speciale" del delinqiente.
Concordo invece con Napolitano sulle puntigliose precisazioni circa la irricevibilità di minacce di scioglimento delle Camere. Concordo col fatto che abbia ricordato che la galera sarebbe una scelta, non un obbligo, vista l'esistenza della possibilità di scelta di pene alternative. Tradotto: se vuoi fare il "Silvio Pelvico" per strumentalizzare le sbarre (e magari il bugliolo e l'ora d'aria) e diventare un eroe, fai pure. Ma è una tua scelta.
Sulla grazia: molti hanno criticato le precisazioni di Napolitano sul meccanismo della grazia stessa; pochi hanno notato che - giustamente - Napolitano ha sottolineato che la grazia può essere concessa o negata (lapalissiano, e in questa frase non leggo alcun impegno a concederla, ma solo a valuitare la richiesta).
Infine, Napolitano ricorda che esiste in teoria la possibilità che la grazia possa essere concessa anche in assenza di domanda da parte dell'interessato o di terze parti, ma due righe dopo si preoccupa di ricordare quale sia la prassi, che nelle mparole del Presidente diventa chiaramente la guida futura di ogni sua azione o non-azione in proposito. Pregherei di leggere con molta attentione quanto ho evidenziato in rosso.
Chiudo con una postilla: mi sembra del tutto evidente che Napolitano NON FARA' UN PASSO in direzione della concessione della grazia motu proprio, in assenza di una richiesta dell'interessato, priva di qualsiasi orpello decorativo e propagandistico che tenti di veicolare il messaggio della sentenza sbagliata, o ingiusta, o persecutoria. La richiesta della grazia, da parte dell'interessato, dovrà essere inequivocabilmente accompagnata da comportamenti che indichino una chiara - anche se non esplicita - accettazione della sentenza di condanna (e quindi del riconoscimento dei reati ascrittigli), e non potrà essere presa in considerazione in presenza di ricorsi contro la sentenza, di ricatti sulla stabilità del quadro politico, e persino di prosecuzione - da parte dei suoi pennivendoli - della applicazione del "Metodo Boffo".
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Il testo integrale e non emedato del comunicato di Napolitano
"La preoccupazione fondamentale, comune alla stragrande
maggioranza degli italiani, è lo sviluppo di un'azione di governo che,
con l'attivo e qualificato sostegno del Parlamento, guidi il paese sulla
via di un deciso rilancio dell'economia e dell'occupazione. In questo
senso hanno operato le Camere fino ai giorni scorsi, definendo
importanti provvedimenti; ed essenziale è procedere con decisione lungo
la strada intrapresa, anche sul terreno delle riforme istituzionali e
della rapida (nei suoi aspetti più urgenti) revisione della legge elettorale. Solo
così si può accrescere la fiducia nell'Italia e nella sua capacità di
progresso. Fatale sarebbe invece una crisi del governo faticosamente
formatosi da poco più di 100 giorni; il ricadere del paese
nell'instabilità e nell'incertezza ci impedirebbe di cogliere e
consolidare le possibilità di ripresa economica finalmente delineatesi,
peraltro in un contesto nazionale ed europeo tuttora critico e
complesso.
Ho perciò apprezzato vivamente la riaffermazione - da
parte di tutte le forze di maggioranza - del sostegno al governo Letta e
al suo programma, al di là di polemiche politiche a volte sterili e
dannose, e di divergenze specifiche peraltro superabili.
Non mi nascondo, naturalmente, i rischi che possono nascere dalle tensioni politiche insorte
a seguito della sentenza definitiva di condanna pronunciata dalla Corte
di Cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi. Mi riferisco, in
particolare, alla tendenza ad agitare, in contrapposizione a quella
sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere.
Di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla, non può che prendersi atto. Ciò
vale dunque nel caso oggi al centro dell'attenzione pubblica come in
ogni altro. In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e
dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione
nella scia delle valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di
giudizio; ed è comprensibile che emergano - soprattutto nell'area del
Pdl - turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva
di personalità che ha guidato il governo ( fatto peraltro già accaduto
in un non lontano passato ) e che è per di più rimasto leader
incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza.
Ma
nell'esercizio della libertà di opinione e del diritto di critica, non
deve mai violarsi il limite del riconoscimento del principio della
divisione dei poteri e della funzione essenziale di controllo della
legalità che spetta alla magistratura nella sua indipendenza. Né è
accettabile che vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del
funzionamento delle istituzioni democratiche.
Intervengo oggi -
benché ancora manchino alcuni adempimenti conseguenti alla decisione
della Cassazione - in quanto sono stato, da parecchi giorni, chiamato in
causa, come presidente della Repubblica, e in modo spesso pressante e
animoso, per risposte o "soluzioni" che dovrei e potrei dare a garanzia
di un normale svolgimento, nel prossimo futuro, della dialettica
democratica e della competizione politica.
A proposito della sentenza passata in giudicato,
va innanzitutto ribadito che la normativa vigente esclude che Silvio
Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e
sancisce precise alternative, che possono essere modulate tenendo conto
delle esigenze del caso concreto.
In quanto ad attese alimentate
nei miei confronti, va chiarito che nessuna domanda mi è stata
indirizzata cui dovessi dare risposta.
L'articolo 681 del codice
di procedura penale, volto a regolare i provvedimenti di clemenza che ai
sensi della Costituzione il presidente della Repubblica può concedere,
indica le modalità di presentazione della relativa domanda.
La grazia o la commutazione della pena può essere concessa dal presidente della Repubblica anche in assenza di domanda.
Ma
nell'esercizio di quel potere, di cui la Corte Costituzionale con
sentenza del 2006 gli ha confermato l'esclusiva titolarità, il capo
dello Stato non può prescindere da specifiche norme di legge, né dalla
giurisprudenza e dalle consuetudini costituzionali nonché dalla prassi
seguita in precedenza. E negli ultimi anni, nel considerare, accogliere o
lasciar cadere sollecitazioni per provvedimenti di grazia, si è sempre
ritenuta essenziale la presentazione di una domanda quale prevista dal
già citato articolo del c.P.P..
Ad ogni domanda in tal senso,
tocca al presidente della Repubblica far corrispondere un esame
obbiettivo e rigoroso - sulla base dell'istruttoria condotta dal
ministro della Giustizia - per verificare se emergano valutazioni e
sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità
della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto
di clemenza individuale che incida sull'esecuzione della pena
principale.
Essenziale è che si possa procedere in un clima di comune consapevolezza degli imperativi della giustizia e delle esigenze complessive del paese.
E mentre toccherà a Silvio Berlusconi e al suo partito decidere circa l'ulteriore svolgimento
- nei modi che risulteranno legittimamente possibili - della funzione
di guida finora a lui attribuita, preminente per tutti dovrà essere la
considerazione della prospettiva di cui l'Italia ha bisogno. Una
prospettiva di serenità e di coesione, per poter affrontare problemi di
fondo dello stato e della società, compresi quelli di riforma della giustizia da tempo all'ordine del giorno. Tutte le forze politiche dovrebbero concorrere allo sviluppo di una competizione per l'alternanza nella
guida del paese che superi le distorsioni da tempo riconosciute di uno
scontro distruttivo, e faciliti quell'ascolto reciproco e quelle
possibilità di convergenza che l'interesse generale del paese richiede.
Ogni
gesto di rispetto dei doveri da osservare in uno Stato di diritto, ogni
realistica presa d'atto di esigenze più che mature di distensione e di
rinnovamento nei rapporti politici, sarà importante per superare
l'attuale difficile momento".
Giorgio Napolitano