Mentre in Italia infuria la polemica sulla decadenza di Berlusconi e, tra opposte e intense perorazioni, ci si inasprisce nella disputa, all'estero riescono ad astrarsi dal coinvolgimento e a vedere le cose nella loro prospettiva e dicono: com'è possibile che accada tutto questo?
Un esempio è dato da questo articolo di Tim Parks -giornalista e scrittore inglese che vive e insegna in Italia- uscito sulla New York Review of Books. PressEurop ne ha curato una traduzione in italiano (di A. Bissanti), di cui condivido l'incipit e che vi invito a leggere, per la semplicità e la chiarezza di esposizione (fatta salva qualche forzatura sui presidenti americani) che, finalmente, e sperabilmente in maniera non di parte, sembra dire pane al pane e vino al vino:
Salvatemi dal carcere o trascinerò il paese insieme a me. Questo, in sostanza, è il messaggio che Silvio Berlusconi - quattro volte primo ministro, proprietario delle tre reti televisive commerciali più importanti del paese, imputato molteplici volte per reati penali - ha appena lanciato al governo italiano. Questo messaggio spiega una volta per tutte la natura esatta della posta in gioco in Italia in questo periodo: l'Italia è uno stato moderno nel quale vige la legalità, oppure è il feudo di un fuorilegge dichiarato? Ora come ora, non è dato sapere quale opinione prevarrà.
[...] L'aspetto veramente preoccupante dell'attuale situazione in Italia non è tanto la sfacciataggine di Berlusconi, quanto il fatto che il suo ricatto sia attuabile e permissibile. Per quanto sconcertante possa sembrare a chi non ha familiarità con l'Italia, perfino i quotidiani più seri e i commentatori più rispettabili appaiono restii a insistere per il rispetto della legge: di rado parlano dei suoi reati nei dettagli e di fatto avvalorano la tesi secondo la quale estromettere Berlusconi dalla scena politica equivarrebbe a privare del diritto di voto i milioni di elettori che lo hanno favorito alle precedenti elezioni, come se in parlamento non esistesse un partito autonomo in grado di rappresentare le loro opinioni, come se non fossero liberi di scegliere un altro leader prima delle prossime elezioni. Come è stato possibile arrivare a tanto?
Dopo aver decantato le qualità di Berlusconi -"uomo intrigante, carismatico, persuasivo e implacabile"- Parks riconosce però che è l'italiano ad aver contribuito a dare al Cavaliere un così grande potere, per la sua disposizione a
lasciarsi ammaliare, incantare, persuadere e soprattutto intimidire - al punto da essere pronto, insomma, a credere alle promesse di Berlusconi o ad accettarne la presenza come inevitabile.
E l'idea che l'italiano sia un popolo culturalmente diverso da quello che compone la maggior parte delle grandi democrazie occidentali prende forma con la citazione del Discorso sopra il costume presente degli italiani di Leopardi, per manifestarsi infine nella convinzione che "non ci sarà alcuna possibilità che il comportamento degli italiani cambi per molti anni a venire", se Berlusconi riuscirà ad evitare condanna e decadenza. C'è, insomma, un tanto di Berlusconi nelle fortune politiche del Cavaliere, ma un tanto anche di italianità, di quel misto di immoralità, furbizia, ipocrisia che ci fa, agli occhi degli stranieri, così diversi.
Che c'è da aggiungere? Sul carattere paradossale della vicenda si esprime molto bene Parks. Sulle cause per le quali una formazione politica non si libera di un leader condannato e venga sostenuta in questo da una parte dell'elettorato, come fece a suo tempo Leopardi, ci sarebbe molto da discutere.