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Bernard hinault, campione del ciclismo anni 80

Creato il 14 novembre 2013 da Postpopuli @PostPopuli
 


di Nicola Pucci

Lo chiamavano “le blaireau“, il tasso, per la sua capacità di afferrare la preda e non lasciarne più la presa. E di prede, lungo tutto l’arco di una carriera monumentale, Bernard Hinault, bretone di Yffiniac, ne ha colte tante, ma proprio tante.

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Hinault in maglia gialla al Tour de France – da lequipe.fr

Correva l’anno 1978 e l’estate ai piedi delle Alpi, per me che mi approcciavo da appassionato ai campioni della bicicletta, mi portò in dote la scoperta di un transalpino che incendiava d’entusiasmo le strade per altro bollenti del Tour de France. Hinault era il talento in divenire che la Francia attendeva al decollo da qualche tempo; guidato in ammiraglia da quella vecchia volpe di Cyrille Guimard – ex buon ciclista di qualche anno addietro – andava di fretta e già vantava alcuni successi di prestigio come la doppietta ravvicinata Gand-Wevelgem/Liegi-Bastogne-Liegi del 1977, stagione chiusa col primo successo allo storico Gran Premio delle Nazioni, vero e proprio mondiale per specialisti nell’esercizio della cronometro. Ma quel mese di luglio fu per Bernard la definitiva consacrazione a punto di riferimento del ciclismo che si avviava verso gli anni Ottanta, proprio nei giorni in cui arrivava al capolinea la carriera del più grande di sempre, Eddy Merckx. In maglia Renault si presentò al via della Grand Boucle tra i favoriti dopo il successo in primavera – allora si correva ad aprile – della Vuelta. E non fallì l’appuntamento strappando la maglia gialla all’olandese Zoetemelk nella tappa contro il tempo di Nancy a tre giorni dalla conclusione della corsa. Era il 21 luglio 1978 ed iniziava, a tutti gli effetti, l’era-Hinault.

Il bretone non aveva punti deboli. Veloce e fantasioso, tenace e scaltro, quasi invulnerabile a cronometro, difficile da staccare in salita, fu il prototipo del perfetto corridore da corse a tappe. Vinse cinque Tour de France, come solo Anquetil e Merckx prima e Indurain dopo di lui seppero fare, uscendone sconfitto solo per una tendinite al ginocchio che lo costrinse al ritiro mentre stava dominando nel 1980, e scavalcato dai due delfini Fignon nel 1983 e Lemond nel 1986. Venne in Italia, al Giro, e completò un tre su tre memorabile nel 1980 battendo Panizza, nel 1982 anticipando lo svedese Prim, infine nel 1985 negando a Moser il bis dell’anno prima. Sorte analoga in Spagna, dove la Vuelta lo incoronò vincitore nel 1978 e nel 1983.

Non di meno conobbe giorni gloriosi anche nelle classiche più prestigiose. Rimane tra le imprese più formidabili del ciclismo moderno la seconda vittoria ottenuta alla Liegi-Bastogne-Liegi corsa sotto una bufera di neve nel 1980 e portata a termine con nove minuti di vantaggio sul secondo dei soli 21 arrivati al traguardo, Hennie Kuiper. Le côtes delle Ardenne gli erano amiche, e vinse due volte la Freccia Vallone, così come i saliscendi del Limburgo, e trionfò all’Amstel Gold Race nel 1981, affrontò le asperità del Giro di Lombardia, e per due volte salì sul gradino più alto del podio. Dichiarò che la Parigi-Roubaix “c’est un connairie“, una cretinata, ma nel 1981 indossando la maglia con i colori dell’iride l’aggiunse al suo fantastico palmares infilando in volata nel velodromo più famoso al mondo due tipi che di pietre se ne intendevano proprio, De Vlaminck e Moser.

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Hinault al mondiale di Sallanches 1980 – da cyclismactu.net

Già, il campionato del mondo. Una corsa che provò a sedurre fin dal primo incontro, 1976, quando neppure ventiduenne terminò sesto ad Ostuni nel giorno in cui Maertens superò Moser. Fu 8° l’anno dopo a San Cristobal, 5° al Nurburgring nel 1978, 3°  a Praga nel 1981 battuto in volata ancora da Maertens e Saronni. Nel mezzo una delle giornate più radiose di una carriera coronata da 216 vittorie, il Campionato del Mondo del 1980 disputato sul circuito più duro, Sallanches in Savoia. Era l’anno dell’abbandono notturno al Tour, era l’anno dei dubbi sulla sua reale consistenza nei momenti in cui c’era da soffrire, e Hinault una volta per tutte mise a tacere i detrattori: dominò la corsa dai primi chilometri, disintegrò il plotone costringendo al ritiro gran parte degli avversari, selezionò i pochi superstiti e sull’ultima salita di Domancy staccò uno stoico Gianbattista Baronchelli, ultimo ad arrendersi. Vinse per distacco a braccia alzate e gridò al mondo, sono io il più forte di tutti. E che a quel tempo sia stato davvero l’indiscusso padrone del gruppo lo certifica l’albo d’oro del Superprestige Pernod, una sorta di classifica a punti, che lo vide primeggiare ininterrottamente dal 1979 al 1982.

Fedele al personaggio schivo, mai fuori dalle righe, poco avvezzo alla conversazione ma non per questo meno carismatico, programmò scientificamente l’uscita di scena quando, ancora competitivo ai massimi livelli, il giorno del suo trentaduesimo compleanno, 14 novembre 1986, salutò il ciclismo ed appese la bicicletta al gancio. Son passati quasi trent’anni e la Francia, così come tutto il mondo del pedale, attende un fuoriclasse di pari valore… ma ne dovrà scorrere ancora di acqua sotto i ponti per riaverne uno così. Chapeau Bernard.

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