Sto diventando svizzero. Alle 7.39 di un un sabato mattina mi ritrovo alla fermata del tram con gli scarponi ai piedi, lo zaino in spalla e gli sci in mano. Sto protestando in silenzio per la colpevole assenza del tram numero 3, in ritardo di ben quattro minuti rispetto all’orario ufficiale: inammissibile.Sempre con gli sci al seguito prendo un treno per Berna, poi una coincidenza di cinque minuti per Interlaken, un’altra coincidenza di cinque minuti per Lautenbrunnen, un bus per Isenfluh e infine una mini funivia operata dai passeggeri. In due ore e mezzo sono passato dalla città più grande della Svizzera al posto più sperduto utilizzando solo mezzi pubblici.La giornata è splendida, perfetta per un week end di sci alpinismo. La salita è morbida, il bosco accogliente, in giro non c’è nessuno. Di fronte a noi c’è la Jungfrau, che in tedesco vuol dire vergine, ma essendo il ghiacciaio più visitato del mondo è più una prostituta che altro.La salita si fa più ripida, la neve fresca si trasforma in neve dura e ghiacciata su una parete esposta a nord, salire diventa difficile, c’è chi si toglie gli sci e sale a piedi. Quando arriviamo in cima il sole sta lentamente scendendo dietro le alpi occidentali. Togliamo in fretta le pelli di foca e scendiamo verso la Hütte più in basso. Purtroppo i miei scarponi si rifiutano di passare dalla modalità “camminata” alla modalità “sci”, ovvero con la caviglia bloccata. Il risultato è che mentre gli altri fanno una serie di curve perfette io faccio una serie di cadute rovinose in perfetto stile Fantozzi. Tento di spiegare la cosa ai miei compagni, ma i problemi con gli sci e gli scarponi sono una scusa tipica del principiante e il dubbio sulle mie capacità reali persiste, soprattutto visto che sono l'unico straniero del gruppo.Dalla Hütte, una casetta in legno con tutto il necessario alla sopravvivenza, si vede uno splendido panorama su Wengen e sulla pista della discesa libera maschile che si organizzerà tra una settimana. Nel buio dell’imbrunire si vedono i gatti delle nevi salire lentamente per il pedio che da lontano sembra quasi verticale. La Hütte è molto bucolica, anche troppo. Per andare in bagno bisogna usare una latrina accessibile per un sentiero di cinquanta metri coperto dalla neve. La latrina dovrebbe essere intitolata a Darwin: solo i migliori sopravvivono.La notte passa in un silenzio irreale, nessuno del gruppo si reincarna in un caterpillar. La mattina è grigia e nevischiosa. Tocca rimettersi gli sci nonostante le gambe intorpidite. Prima una discesa e poi una salita che massacra ulteriormente i muscoli. Poco a poco il cielo schiarisce ed appare il sole: prima pallido e timido, poi un'esplosione di luce che rimbalza sulla neve. Si continua a salire. La cima è a 2.700 metri e di strada da fare ce n'é tanta, ma la pendenza è accettabile e salire è un vero piacere. Arriviamo in cima che è mezzogiorno. Lo sguardo vaga a 360 gradi, non si sa dove guardare: montagne e neve e laghi e minuscole città in lontananza.E poi arriva la ragione di tutta sta fatica: la discesa. Ci aspettano poco meno di duemila metri di dislivello di neve freschissima, praticamente un orgasmo. Questa volta gli scarponi mi assecondano e dove andare lo decido io, con grande piacere, a parte un sasso traditore che provoca lo sganciamento di uno sci e poi dell'altro per farmi atterrare a pelle di leopardo. Ma si tratta di un incidente classico, l'onore questa volta è salvo. L'ultimo pezzo è in pendenza dolce e incrociamo decine di persone in slitta che scendono con bambini piccoli e cani. E' un giorno di festa per tutti sembra.
Sto diventando svizzero. Alle 7.39 di un un sabato mattina mi ritrovo alla fermata del tram con gli scarponi ai piedi, lo zaino in spalla e gli sci in mano. Sto protestando in silenzio per la colpevole assenza del tram numero 3, in ritardo di ben quattro minuti rispetto all’orario ufficiale: inammissibile.Sempre con gli sci al seguito prendo un treno per Berna, poi una coincidenza di cinque minuti per Interlaken, un’altra coincidenza di cinque minuti per Lautenbrunnen, un bus per Isenfluh e infine una mini funivia operata dai passeggeri. In due ore e mezzo sono passato dalla città più grande della Svizzera al posto più sperduto utilizzando solo mezzi pubblici.La giornata è splendida, perfetta per un week end di sci alpinismo. La salita è morbida, il bosco accogliente, in giro non c’è nessuno. Di fronte a noi c’è la Jungfrau, che in tedesco vuol dire vergine, ma essendo il ghiacciaio più visitato del mondo è più una prostituta che altro.La salita si fa più ripida, la neve fresca si trasforma in neve dura e ghiacciata su una parete esposta a nord, salire diventa difficile, c’è chi si toglie gli sci e sale a piedi. Quando arriviamo in cima il sole sta lentamente scendendo dietro le alpi occidentali. Togliamo in fretta le pelli di foca e scendiamo verso la Hütte più in basso. Purtroppo i miei scarponi si rifiutano di passare dalla modalità “camminata” alla modalità “sci”, ovvero con la caviglia bloccata. Il risultato è che mentre gli altri fanno una serie di curve perfette io faccio una serie di cadute rovinose in perfetto stile Fantozzi. Tento di spiegare la cosa ai miei compagni, ma i problemi con gli sci e gli scarponi sono una scusa tipica del principiante e il dubbio sulle mie capacità reali persiste, soprattutto visto che sono l'unico straniero del gruppo.Dalla Hütte, una casetta in legno con tutto il necessario alla sopravvivenza, si vede uno splendido panorama su Wengen e sulla pista della discesa libera maschile che si organizzerà tra una settimana. Nel buio dell’imbrunire si vedono i gatti delle nevi salire lentamente per il pedio che da lontano sembra quasi verticale. La Hütte è molto bucolica, anche troppo. Per andare in bagno bisogna usare una latrina accessibile per un sentiero di cinquanta metri coperto dalla neve. La latrina dovrebbe essere intitolata a Darwin: solo i migliori sopravvivono.La notte passa in un silenzio irreale, nessuno del gruppo si reincarna in un caterpillar. La mattina è grigia e nevischiosa. Tocca rimettersi gli sci nonostante le gambe intorpidite. Prima una discesa e poi una salita che massacra ulteriormente i muscoli. Poco a poco il cielo schiarisce ed appare il sole: prima pallido e timido, poi un'esplosione di luce che rimbalza sulla neve. Si continua a salire. La cima è a 2.700 metri e di strada da fare ce n'é tanta, ma la pendenza è accettabile e salire è un vero piacere. Arriviamo in cima che è mezzogiorno. Lo sguardo vaga a 360 gradi, non si sa dove guardare: montagne e neve e laghi e minuscole città in lontananza.E poi arriva la ragione di tutta sta fatica: la discesa. Ci aspettano poco meno di duemila metri di dislivello di neve freschissima, praticamente un orgasmo. Questa volta gli scarponi mi assecondano e dove andare lo decido io, con grande piacere, a parte un sasso traditore che provoca lo sganciamento di uno sci e poi dell'altro per farmi atterrare a pelle di leopardo. Ma si tratta di un incidente classico, l'onore questa volta è salvo. L'ultimo pezzo è in pendenza dolce e incrociamo decine di persone in slitta che scendono con bambini piccoli e cani. E' un giorno di festa per tutti sembra.
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