Beyond the Black Rainbow

Creato il 14 gennaio 2013 da Eraserhead
Figlio di George Pan Cosmatos, regista greco deceduto nel 2005 che fu prodotto in Italia da Carlo Ponti, Panos Cosmatos (classe 1974) esordisce con Beyond the Black Rainbow (2010), film che nasce dalle sue visioni adolescenziali e che ne ripropone cornice ed atmosfera: siamo infatti nel 1983 e sono molti i segnali che abbracciano l’epoca culturale di riferimento: ci pensa innanzitutto l’ onnipresente sottofondo sonoro tra il dronico e il synthetico a creare una cappa 80’s che trova nell’ambientazione la strizzata d’occhio più marcata: un mad doctor che opera in un ambiente euclideo e una cavia con la quale sembra avere un rapporto speciale sono ingredienti tipici per uno sci-fi d’antan. Ad ogni modo il gioco di ricostruzione è valido fino ad un certo punto perché Cosmatos si mette di impegno per tramutare lo spunto fantascientifico in un trip allucinogeno che sbriciola ogni parvenza di razionalità per disciogliersi in un liquido lisergico, pozza fosforescente di rigorosa geometria, siero che si dilata in qualunque direzione possibile: esoterica, gnoseologica, psichica, animica, ecc.
Chi scrive professa da tempo l’emancipazione dell’immagine dal senso, non si tratta ovviamente di una strada obbligatoria ma solo il fatto che venga eventualmente intrapresa può suscitare un notevole interesse, e per questo a Cosmatos non gli si può dire nulla, il suo è un lavoro di Immagine oltranzista che non concede niente al cervello, le scariche visive sono potentissime e, sebbene il ritmo sia compassato, cingono lo spettatore in un susseguirsi di scenari abbacinanti intervallati da dissolvenze in rosso, punteggiati da dettagli (soprattutto oggetti) ripresi in sequenza, illuminati caleidoscopicamente da lampi accecanti e baluginii tremebondi. No davvero, di fronte alla forma, che si trova decisamente al confine con la videoarte, si può solo che tacere e restare ammirati dall’Energia che si propaga; la vetta delle quasi due ore di proiezione è il flashback del 1966 dove il giovane dottore vive (e noi con lui) una sorta di esperienza extracorporea resa da Cosmatos in un segmento strepitoso che potrebbe essere benissimo un’installazione in qualche museo d’arte contemporanea.
Tutto bello, tutto originale, tutto esteticamente pregevole, se non fosse che a visione ultimata si fa largo l’idea di come Beyond the Black Rainbow sia soltanto un superlativo specchietto per le allodole. Va bene l’indipendenza tra l’aspetto e il significato (forse andrebbe meglio in un cortometraggio ma non soffermiamoci su delle inezie), e va bene essere fedeli alla propria politica dal primo all’ultimo minuto, però a che pro infilare nel tessuto visionario questo legame tra il dottore ed Elena che pian piano si sfilaccia? Idem per i poteri telepatici di quest’ultima o per alcuni personaggi appena abbozzati presenti nella storia, quel che si intende dire è: se il comparto visivo investe e abbaglia, la scelta di inserire un filo tramico (che vorrebbe essere) conduttore paga dazio nell’ammaliante dispersione ottica, e anche il finale, con il doc impigliato nelle erbacce, non convince più di tanto per la sua sbrigatività, una voluta chiusura del cerchio che non si realizza e diventa apertura, insondabile.  
Al solito, grazie a Giovanni.

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