Al termine d’ogni bella avventura, soliti lettori, v’è l’abitudine di tirar le somme. Sintetizzare il meglio e il peggio, il bello e il brutto, il piacevole e lo spiacevole. Sarà Scribacchina da meno, pel Bergamo Jazz Festival conclusosi proprio tre ore fa? Giammai. Eccovi dunque un piccolo prontuario del meglio e del peggio del BiGì Jazz 2012 secondo la sottoscritta.
IL MEGLIO
- ovviamente, Brad Mehldau e Paolo Fresu
- la lieta sensazione d’aver saturato l’anima con quanto v’è di più bello al mondo: musica, emozioni, belle sensazioni
– il tradizionale caffettino avanfestivàl del Balzer e quello intrafestivàl del bar del Donizetti (entrambi notevoli, va detto)
– quella gioiosa aria di primavera che t’accompagna all’entrata del teatro e t’accoglie all’uscita, a mezzanotte passata.
IL PEGGIO
– ascoltar il Brad Mehldau seduti dietro un armadio d’uomo, che ondeggia da destra a sinistra e vi costringe, a vostra volta, a beccheggiare, decidendo di volta in volta se osservare il Brad o il duo Larry-Jeff della sezione ritmica
– ascoltar il solito Brad seduti davanti ad uno sparuto gruppetto di disturbatori che, nell’ordine: prendono a calci la di voi sedia lamentando ad alta voce la ristrettezza dello spazio in platea (sarà che son piccina, soliti lettori? v’assicuro ch’io ero bella comoda…); durante l’esibizione del Trio tentan di tenere il tempo schioccando rumorosamente le dita (totalmente fuori tempo, ma non m’è parso il caso di farglielo notare); commentan ad alta voce le prestazioni del Trio Mehldau durante la performance; continuan imperterriti nello scambio di sagaci osservazioni, nonostante vi giriate periodicamente fulminandoli col vostro più truce sguardo e facciate notare ad alta voce, voltando loro le spalle, quanto sia scortese chiacchierar sopra l’improvvisazione altrui.
Nella lista del ‘peggio’, soliti lettori, aggiungerei volentieri la prova della Pocket Brass Band, ma… come dire… un certo atteggiamento politically correct m’impedisce di dir male dei mostri sacri. Neppur sotto tortura, dunque, ammetterò che la prova della brass band tascabile m’ha nojata a morte.
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25 marzo 2012
Non poteva andare diversamente: l’esibizione del Trio di Brad Mehldau nella serata conclusiva del Bergamo Jazz Festival è stata un pieno successo. Mehldau, uno dei pianisti di punta del firmamento jazzistico contemporaneo, è tornato a Bergamo otto anni dopo la sua precedente esibizione, affiancato sul palco da uno strepitoso Larry Grenadier al contrabbasso e da Jeff Ballard alla batteria. Grande interplay e perfetta sintonia fra i tre musicisti che hanno proposto un jazz raffinato ma mai scontato, anche nella scelta dei brani; nessuno spazio, nella prova bergamasca, per la rilettura di quei brani pop/rock (tra gli altri, anche Black Hole Sun dei Soundgarden e Bittersweet Symphony dei Verve) che hanno contribuito a far conoscere al grande pubblico il pianista americano.
A raccogliere il pesante testimone dalle mani di Mehldau, la Pocket Brass Band di Ray Anderson, formazione composta per tre quarti da fiati; accanto ad Anderson (classe 1952, uno dei più importanti trombonisti in circolazione), Matt Perrine, Eric McPherson e l’eccezionale Lew Soloff, che – in un clima rilassato – hanno proposto uno spettacolo ispirato alla tradizione delle marching band di New Orleans, rivista ed attualizzata in maniera intelligente.
Conclusa la trentaquattresima edizione, già si pensa al Bergamo Jazz 2013, alla cui guida ci sarà ancora Enrico Rava. Tra le altre cose, il nuovo direttore artistico – durante la presentazione del festival di quest’anno – aveva anticipato la volontà, per l’edizione 2013, di dare maggiore spazio alla rassegna di film concepita attorno al rapporto tra jazz e musica: “Cinema e jazz sono le due grandi arti del secolo scorso. Sono nate insieme, sono cresciute parallelamente, ma hanno avuto tutto sommato meno contatti di quanti si sarebbe potuto presumere… Ho voluto fortissimamente questa piccola rassegna di film e l’anno prossimo vorrei incrementarla”.