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Inizia in chiave di pre-cinema l'intelligente “Biancaneve” di Tarsem Singh: poiché la Regina malvagia - che fa da narratrice del “C'era una volta” di apertura! - illustra il suo racconto mettendo in moto una “macchina per le immagini” che è parente stretta (è la versione magica) degli aggeggi ingegnosi del pre-cinema, in particolare qui lo zootropio. Il che naturalmente non è gratuito: indica apertamente quel piglio metalinguistico e metanarrativo che fa spiritosamente da filo rosso al film di Tarsem.
Il fatto poi che sia la Regina (Julia Roberts) a narrare l'inizio della storia le consente tutto il sarcasmo che ci si può aspettare – però il visuale smentisce il sonoro in una graziosa dissociazione: lei ha un bel parlare di sé in modo elogiativo e apologetico, tuttavia il visuale la presenta come un'ombra minacciosa.
Il problema che si pongono Tarsem e gli sceneggiatori Jason Keller e Melisa Wallack è di riscrivere in modo moderno la fiaba – la cui versione canonica è ormai il capolavoro di Walt Disney (1937), che il film tiene presente più di quanto sembri - senza volerla rovesciare completamente. C'è naturalmente un'ironia di fondo sui personaggi. Biancaneve (Lily Collins), prima un'insicura, con un corso accelerato dei nani diventa una specie di eroina kung fu; il Principe, interpretato con humour da Armie Hammer, è un cretino; i nani sono dei banditi, e di questo mestiere dicono (ombra di Walt Disney!) “sempre meglio che in miniera”. Quanto alla Regina, personaggio super-camp per definizione, Julia Roberts non si lascia sfuggire alcuna occasione. La pagina della sua cura di bellezza è da antologia. Nota poi che il principe e Biancaneve quando sorridono hanno diritto a un riflesso sfavillante sui denti! Ma è molto più importante l'intervento sulla struttura della storia. Giacché i punti caratterizzanti del racconto sono già presenti nella nostra cultura, il film anziché illustrarli ne svicola: o li anticipa o li rovescia. Per esempio, lo Specchio dice alla Regina “In un giorno non lontano mi chiederai chi è la più bella del reame, e la risposta non ti piacerà” - e questo è quanto per la famosa domanda che è la pietra angolare della fiaba. Il “bacio del vero amore” per spezzare l'incantesimo non lo dà il principe a Biancaneve ma Biancaneve al principe (che, con gustosa invenzione, un filtro ha trasformato - mentalmente - in un cucciolo). E la vecchiaccia con la classica mela rossa? Spunta nel finale - ma anche qui rovesciata.
Certamente Tarsem & C. potevano fare di più; per esempio i sette nani non hanno – nonostante lo sforzo evidente – una forte caratterizzazione. Siamo lontani dalla genialità disneyana. Tuttavia, Tarsem Singh proviene in origine dal videoclip e dalla pubblicità, “forme brevi” basate sul potenziamento estetico dell'immagine; e bisogna riconoscergli una sua forza visionaria. Come scenografia, il mondo in CGI di Biancaneve sembra davvero una moderna illustrazione di fairy tale. Notevoli i mostri-burattino e la Bestia (ispirata, si direbbe, al Jabberwock di Lewis Carroll); bellissimi i costumi di Eiko Ishioka (“Dracula di Bram Stoker”), alla quale il film è dedicato in loving memory, e che qui disegna una specie di Settecento psichedelico. Questi costumi nutrono l'astrazione della messa in scena – si guardi per esempio la partita a scacchi viventi della Regina. “Biancaneve” si svolge in un paesaggio invernale, che rispecchia simbolicamente la situazione del regno bloccato nella tirannia e insieme di Biancaneve stessa, inizialmente incapace di uno sviluppo volitivo. La cosa interessante è che gli esterni e gli interni condividono la stessa apparenza di set: tutto appare finto, tutto set appunto (il che ricorda peraltro certi aspetti del primo cinema muto, alla Maurice Tourneur di “The Blue Bird”); e questo è proprio il cinema contemporaneo, sempre più grafica e meno fotografia.
Qua e là si vede qualche riflesso del cinema est-asiatico, che è il vero faro del cinema d'oggi – ma Tarsem Singh non dimentica le sue origini indiane, e con la canzone finale regala uno squarcio musicale d'addio che non è né musicalità disneyana né musical americano classico: è vera Bollywood.
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