Così come non ho mandato giù la versione pacchianamente colorata, simil Bollywood, messa in atto dal regista indiano Tarsem Singh, della nota fiaba dei Fratelli Grimm, Biancaneve, uscita nelle nostre sale qualche mese addietro, le cui note ironiche si muovevano nella scia del citazionismo distruttivo in salsa Shrek, affidandosi ad una Julia Roberts manierata regina cattiva, ugualmente devo, purtroppo, ripetermi per Biancaneve e il cacciatore, regia dell’esordiente Rupert Sanders e sceneggiatura a più mani (Evan Daugherty, John Lee Hancock, Hossein Amini ).

La sensazione dominante, infatti, è quella di aver assistito ad una serie di episodi assemblati tra loro, con passaggi tra l’uno e l’altro abbastanza bruschi (come la verdeggiante pianura popolata da fatine e soavi animaletti, debitrice sia verso la Disney, quella di Walt, beninteso, sia di Myazaki e del suo Principessa Mononoke, vedi il cervo-divinità), per quanto l’impianto complessivo possa contare su una certa visionarietà, spesso annacquata da rallenty e patinature varie, che tradiscono le precedenti esperienze di Sanders nell’ambito degli spot pubblicitari.

Charlize Theron

Riguardo Neve, ancora una volta indossa i panni dell’indomita guerriera, novella Pulzella d’Orleans, non riuscendo però a suscitare alcuna empatia causa la solita espressività monocorde di vampirella Stewart, pari solo ad un monolito di Stonehenge, che recita il Padre Nostro come una filastrocca per bambini e cerca malamente d’infervorarsi in un discorso volto ad incitare la folla prima della pugna finale, la cui “epicità” è data dalla confusione e mancanza di senso logico.






