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Bianco e nero, l’espressività degli esseri umani e i viaggi: le fotografie e l’intervista a Sara Gambelli

Creato il 03 dicembre 2015 da Stivalepensante @StivalePensante

Grande passione per la fotografia, soprattuto quando ritrae la vita delle persone e racconta viaggi. Il bianco e nero usato come una forza che spegne le “emozioni” oggettive dei colori, per lasciar spazio solo alla soggettività delle espressioni, qualsiasi esse siano. Sara Gambelli, non è ancora una fotografa professionista, ma poco interessa. Gli scatti, i progetti e gli ideali che la spingono a fotografare sembrano appartenere ad una “dimensione oltre confine”, quasi lontana dalla nostra contemporaneità. Proprio per questa ragione abbiamo deciso di intervistarla.

Da cosa nasce la tua passione per la fotografia?

Sono sempre stata appassionata di fotografia, sin da bambina. La prima macchina fotografica, infatti, mi è stata regalata all’età di 7 anni. La ricordo ancora, era bellissima nella sua semplicità: gialla e rosa. Amavo fotografare paesaggi, una cosa che adesso non mi interessa per niente. In qualche modo ero affetta da una sorta di “misantropia fotografica”, detestavo la presenza dell’essere umano all’interno dell’inquadratura. Cercavo sempre il momento giusto, il più solitario possibile. Poi ovviamente con il tempo e grazie alla mia formazione le cose sono cambiate.

Quanto ha inciso la tua formazione sui tuoi scatti?

Credo abbia inciso tantissimo. Ho studiato antropologia, forse inconsciamente per cercare di rivalorizzare l’essere umano, come produttore di emozioni. Di conseguenza la mia attenzione si è spostata su determinati tipi di soggetti: artigiani, artisti, musicisti. Io amo molto la street photography. Situazioni particolari, insomma. La mia è un’esigenza viscerale, finora tutto quello che ho fatto è motivato solo da una grande passione.

Ed i viaggi invece?

Anche i viaggi hanno inciso molto. L’India credo sia stato il mio nuovo punto di partenza. Il mio obiettivo non era quello di fare un reportage, anche se sono stata via parecchio tempo. L’India è sicuramente un caleidoscopio di colori, di culture, e trovarsi lì con una macchina fotografica penso sia stato un ottimo trampolino di lancio per sviluppare delle vecchie passioni. E’ indubbiamente il viaggio che ha inciso di più sulla motivazione, ma l’esperienza alla quale sono più legata, che sto seguendo da parecchi anni ormai, è il pellegrinaggio dei gitani per Santa Sara a Saintes-Maries-de-la-Mer il 24 maggio di ogni anno. Un’esperienza fortissima, soprattutto a livello personale. Ne sono molto affezionata. In generale, però, non sono tanto i viaggi che mi spronano a prendere in mano la macchina fotografica. E’ un’esigenza personale che ho io per interpretare la realtà, per raccontare, a volte, cercando di mandare dei messaggi.

Quindi trovi ispirazione nel fotografare anche in casa, da un’amico o uscendo semplicemente…

Assolutamente, non è necessario andare lontano per portare a casa delle buone fotografie.

Quanto è cambiato il modo di approcciarti alla fotografia in base a quello che ti è capitato nella vita?

Indubbiamente ed erroneamente si pensa che la fotografia sia un’arte molto oggettiva, ma in realtà non è vero. Dietro ad ogni foto c’è una soggettività, quella del fotografo, che si porta dietro un vissuto, un contesto culturale e soprattutto delle emozioni. Ora dimmi come può una fotografia pretendere di essere oggettiva? Inoltre può cambiare il significato in base al contesto in cui viene esposta o pubblicata. Per questo spesso mi rifiuto di dare i miei scatti a persone di cui non mi fido, perché è il mio vissuto, il mio racconto e non vorrei mai che le mie foto venissero stravolte con altri tipi di interpretazione.

Quali sono i tuoi soggetti preferiti da ritrarre in una foto?

Mi piace rappresentare persone che forse non si rendono conto di essere fotografate. I miei soggetti preferiti sono persone che si mettono in gioco continuamente, gente che si muove, gente in viaggio anche da un punto di vista metaforico…. mi piace fotografare persone libere.

Guardando le tue foto, infatti, sono rimasto molto colpito dalla grande espressività dai tuoi scatti e dell’uso che mi stavi dicendo del bianco e nero. E’ difficile attualmente trovarlo nelle foto comuni. Il colore credo assorbe la grande attenzione all’occhio ed è più oggettivo. Il bianco e nero, invece, suscita diverse emozioni. Come mai questa scelta?

Il mondo è a colori. Me ne rendo conto. Tuttavia, ho scelto il bianco e nero per la maggior parte dei miei reportage perché credo abbia una potenza espressiva pazzesca. La sua grande capacità è quella di essenzializzare. Personalmente credo che senza la “distrazione” dei colori, si arrivi prima al messaggio, all’essenziale, al carattere di una persona.

Oltre ai viaggi e alle persone, cosa ti piace fotografare?

Con il cuore sono sempre indirizzata ai reportage e alla street photography, sono la mia passione, ma avendo in casa tre felini ed un cane mi sono appassionata anche alle fotografie degli animali. Non è così semplice fotografarli, sai? Sono una sfida quotidiana. I felini per esempio sono velocissimi e poco “collaborativi”.

Non credi, però, che nelle foto gli animali vengano “usati” troppo spesso?

Assolutamente sì, come i selfie, i dolci, le foto di cucina, ma qui torneremmo al grande tema della fotografia ai tempi degli smartphone. L’uomo ha sempre avuto l’esigenza di documentare la sua esistenza sulla terra… diciamo che adesso si è perso un po’ il senso. L’uomo dovrebbe cercare di vivere di più e scattare un po’ di meno, come del resto fanno i grandi fotografi. Prima di scattare si informano, entrano in contatto con le persone, provano a capire le situazioni e l’universo culturale in cui si trovano. Oggi c’è questa esigenza sfrenata di produrre immagini che da un lato non è necessariamente sbagliata, ma dall’altro, come diceva Susan Sontag ”se potrà esserci un modo migliore per permettere al mondo reale di includere in sé quello delle immagini, esso richiederà un’ecologia non soltanto delle cose reali ma anche delle immagini stesse”.

Tu, invece, quanto lavoro fai di post-produzione e quanto pensi possa stravolgere la fotografia?

La post-produzione potenzialmente può stravolgere completamente una fotografia, ma detto questo non farò mai questo con i miei lavori. Ad ogni modo, diffido sempre di chi mi dice io non post-produco le mie foto. La post produzione è sempre esistita e credo sia una fase altrettanto importante e fondamentale nella produzione dell’immagine, anche per valorizzarne il significato.

In un mondo consumistico, come quello attuale, quale pensi sia il ruolo del fotografo?

Sviluppare il contenuto della fotografia. Il fotografo non deve mai perdere di vista la capacità e l’importanza che il suo mezzo ha di raccontare, di documentare qualcosa. Così come credo sia importante la progettualità, che non si traduce per forza ad un progetto fine a sé stesso. Il fotografo insomma dovrebbe concentrarsi di più sulle storie che ha da raccontare.

Da poco, hai avviato il progetto “Pet Photography”. Da cosa nasce questo progetto e quale il suo obiettivo?

Come ti dicevo prima nasce dalla convivenza con tre felini e un cane, che sono diventati ormai essenziali all’interno della famiglia… Che vita noiosa sarebbe senza di loro!
L’obiettivo è offrire un servizio. Ma soprattutto un ricordo di qualità alle persone del o con il loro animale domestico.

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

Far diventare la mia passione una professione, scrivere un libro e viaggiare molto di più.


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