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Bianco o rosso? Attenti al trucco…

Da Trentinowine

edipo-sfinge

Domanda innocente. E anche un po’ impertinente. Ma siamo sicuri, che il Trentino sia una terra vocata per i vini bianchi? No dico, questa cosa me la sento ripetere (anche stamattina: per questo ne scrivo oggi) da un certo numero di anni. Diciamo un paio di decenni. Ed è diventata un mantra, un assioma. Un dogma indiscutibile. La ripetono enologi, cantinieri, uomini del marketing e politici. Soprattutto politici. Poi, però, dai un’occhiata alle guide, per quel che valgono naturalmente, e scopri esattamente il contrario. Ma basterebbe anche sfogliare le carte vino di ristoranti più o meno stellati. E scopri che, a detta dei soloni enoici, il Trentino, dalla Rotaliana, alla Valle dei Laghi sino ad arrivare alla Bassa Lagarina, si fa strada in Italia e nel mondo solo con grandi vini rossi. Naturalmente da questi numeri escludo le bottiglie di metodo classico. Che, fra l’altro, in parte è prodotto anche con uve a bacca rossa. Ma che, ad ogni modo, in termini di volumi non rappresenta quasi niente – ad essere generosi circa un 6/7 % della produzione provinciale. E verosimilmente all’orizzonte non si colgono tendenze all’espansione di questo mercato tali da capovolgere il senso del ragionamento. Quindi mi limito a riflettere sui vini fermi di origine trentina.

Da vent’anni a questa parte il paesaggio viticolo e ampelografico trentino è stato rivoluzionato. Oggi le uve bianche rappresentano il 70 e rotti per cento della produzione complessiva. Trent’anni fa era il contrario. Il mantra della “vocazione”, un po’ come la storia delle profezie che si autoavverano, ha fatto il suo bel mestiere. E tuttavia, poi, ti accorgi che questa “vocazione” non si è declinata. E rimasta una parola appesa in aria. Capisci che, semmai, questa vocazione si è tradotta in una vocazione quantitativa e non qualitativa. E allora ti viene il dubbio di un inganno semantico e interpretativo. E di una manipolazione politica e culturale, passata anche attraverso le carte degli assessorati e le aule delle scuole enologiche. Infatti, nonostante, la minuziosa ed eversiva politica di espianto delle uve a bacca rossa avvenuta su mandato perentorio di chi sappiamo, in questi due decenni il Trentino “vocato”, se per vocazione si allude al profilo qualitativo, resta, indiscutibilmente, quello dei vini prodotti da uve a bacca rossa.

Prendo ad esempio le ultime annate della Guida del Gambero Rosso (che non considero una bibbia e nemmeno un messale, ma che, pur con tutte le prudenze del caso, qualche indicazione la fornisce). E, per quello che ho scritto prima, mi fermo ai vini fermi.

2014: Rosso 5 – Bianco 1

2013: Rosso 3 – Bianco 0

2012: Rosso 2 – Bianco 1

2011: Rosso 2 – Bianco 0

2010: Rosso 3 – Bianco 2

2009: Rosso 3 – Bianco 0

2008: Rosso 2 – Bianco 1

Ora non resta che chiedersi chi, e perché, abbia messo in giro questa storia della “vocazione bianchista” del Trentino. Chi ha avuto, e chi ha, interesse a farlo. Cui prodest?, insomma. A meno che, appunto, non si tratti di una “vocazione” ai volumi. E non alla qualità.


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