Se è vero che la narrativa esprime il bisogno di una civiltà di trasmettere valori condivisi, allora il ventesimo secolo non può davvero evitare di riconsiderare il modo in cui i personaggi dei romanzi vengono rappresentati, a partire da quelli per l’infanzia. Il Novecento, infatti, non ha visto solo guerre e dittature nel proprio dispiegamento storico, ma, in quanto secolo di grandi contraddizioni, è stato anche scenario delle più alte conquiste mai raggiunte a livello umano e umanitario. Una, importantissima, riguarda il cambiamento della condizione femminile, che non poteva rimanere un evento “in sordina” e fu anzi accompagnato dalla pubblicazione di alcuni romanzi per l’infanzia pressoché rivoluzionari. Due, in particolare, raccontarono personaggi femminili dai tratti innovativi, finalmente esenti dalla condanna ai ruoli di genere: Bibi. Una bambina del Nord di Karin Michaelis e Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren.
Michaelis nasce nel 1872 in Danimarca e qui rimane, in veste di giornalista, conferenziera, appassionata attivista umanitaria, fino al culmine del regime nazista: dopo aver ospitato numerosi rifugiati politici (del calibro di Einstein, Brecht, Rilke) ed essersi rifiutata di scrivere un libro per bambini di palese impronta nazista (richiestole dal generale Goebbels), la scrittrice espatria a new York.
Ciò non ha però cancellato la sua opera in fatto di letteratura per ragazzi e ragazze, straordinaria, a partire dai sei libri che hanno per protagonista Bibi, una bambina indipendente, ottimista, fiduciosa verso l’umanità. In uno scenario rigido, controllato, terroristico –come quello dell’Europa nazi-fascista-, il primo libro di Bibi si mette a gridare libertà, libertà d’azione, di scelta, di spostamento, libertà di sbagliare e di vivere l’infanzia anche in modo anticonvenzionale. Il personaggio di Bibi sorprende per la sua creatività, la vivacità e complessità dei tratti, così diversi rispetto a quelli che caratterizzavano le bambine nei precedenti romanzi per l’infanzia (tratti scarseggianti, piatti, non adatti a una evoluzione psicologica del personaggio). Dotata di una volontà personalissima, di desideri e slanci emozionali che le permettono di svilupparsi a trecentosessanta gradi, Bibi è forse il primo personaggio femminile in assoluto che si possa considerare un “individuo” e non un “tipo”. L’autonomia e, al contempo, la grande socialità della bambina del Nord si riscontrano nelle lettere illustrate che essa invia al padre mentre è in viaggio (mentre lei è in viaggio!): lettere artistiche, piene delle motivazioni psicologiche che spingono una bambina ancora piccina ad allontanarsi da casa, dagli adulti, per esperire il mondo in naturale libertà. Bibi viaggia ed incontra persone, le aiuta, a volte combinando disastri: a questo punto riconosce i suoi sbagli, dimostrando un’incredibile capacità di auto-analisi, e chiede scusa, accettando il concetto di “colpa” in maniera matura e molto meno scabra rispetto al modo in cui veniva proposto tale processo nella narrativa precedente.
E in tutta libertà, nella forma forse più estrema, Bibi adatta il suo nome alle proprie esigenze caratteriali, come a dire: non è il nome che ci viene dato a determinare chi siamo noi. Se mai, il contrario.
Pippi, come Bibi (e come la maggior parte dei personaggi femminili creati da Astrid Lindgren), sceglie il suo nome, e non solo: sceglie dove vivere, quando andare a scuola e perché, come trascorrere le sue giornate… Infine, sceglie. Il personaggio di Pippi Calzelunghe è un ulteriore esempio di un punto di vista innovativo attraverso il quale concepire la figura femminile: è il punto di vista di una scrittrice svedese, Astrid Anna Emilia Ericsson, che a diciotto anni, incinta, migra a Stoccolma e, poi, in Danimarca, senza preoccuparsi di rispecchiare o meno il modello tradizionale di donna.
Il primo libro di pippi Calzelunghe viene pubblicato nel 1945, ed è subito amore da parte del grande pubblico -a dispetto di pedagogisti e critici che ne sconsigliarono la lettura. La bambina dai capelli rossi, residente nella magica Villa Villacolle, rappresenta una parte trasgressiva e monella troppo affascinante e travolgente per resistervi, poiché era –ed è- una caratteristica celata in ogni persona, anche negli adulti. Fino ai primi anni del Novecento, bambine e ragazzine erano descritte come sottomesse, temperanti, graziose, visrtuose, composte, deboli. Pippi si rivela subito un modello opposto, del tutto anticonformista rispetto a tali regole di comportamento e di moralità. La bimba con le treccine esplora la natura, è fisicamente molto forte, si cuce da sé i suoi abiti ed è prepotente, indipendente, abile nel narrare storie che incantano, spaventano, stregano. Risulta difficoltoso inserire Pippi perfino nella categoria degli individui, in quanto essa sembra operare spinta dalla sola volontà di farlo, e non per una qualche motivazione personale o in seguito ad attenta riflessione. Le ragioni dei comportamenti di Pippi sono imperscrutabili, forse non esistono; essa è vita allo stato puro, è genuino istinto vitale, è l’incarnazione dell’impetuosità incosciente e primordiale dell’infanzia e come tale va amata ed accettata.
Pippi e Bibi dimostrano quanto il sesso femminile sia tranquillamente in grado di evolvere e di elevarsi, nonché di cambiare la propria condizione qualora questa non sia soddisfacente. Anzi, la loro presenza nella letteratura per ragazzi insegna all’infanzia che la possibilità di scegliere il proprio destino rappresenta più di un diritto, rappresenta una modo di essere insito nell’animo di tutti i bambini, i quali, purtroppo, sin dai primi mesi di vita sono combattuti tra l’istinto alla libertà ed il retaggio culturale, educativo, che li vuole classificati in scomparti precisi dell’esistenza. Afferma Simone de Beauvoir, nel saggio Il secondo sesso del 1949:“in quanto creatura che esiste in sé, il bambino non arriverebbe mai a cogliersi come differenziazione sessuale.” Dar da leggere a bambini e bambine Pippi Calzelunghe e Bibi, un abambina del Nord significa anche regalar loro la grande libertà di auto-connotarsi, se lo desiderano, e di crescere lontani da stereotipi di genere che sminuiscono le identità personali.