La trama (con parole mie): a seguito di una serie di brutali omicidi di alcune ragazzine, l'insegnante Dror è messo sotto torchio con metodi ben oltre la Legge da un gruppo di poliziotti guidati dall'arrembante Micki, convinto della colpevolezza dell'uomo. Accusato dai superiori e dalla stampa e sospeso dal servizio, proprio Micki deciderà di catturare Dror in modo da farlo confessare e riabilitare la sua posizione: quello che, però, l'improvvisato vigilante non sa è che Gidi, il padre dell'ultima vittima dell'assassino, è già sulle tracce del professore ed è pronto a tutto pur di vendicarsi e di scoprire dove è nascosta la testa di sua figlia, che nel corso delle indagini non è stata ritrovata.
Quando i cammini dei tre uomini si incroceranno, le loro vite subiranno una drastica accelerazione verso l'inevitabile collisione finale: ad attenderli sensi di colpa, dolore e morte.
I revenge movies hanno conosciuto, a partire dai primi anni zero, una vera e propria seconda giovinezza legata principalmente a due fenomeni: il Cinema coreano - da Kim Ki Duk a Park Chan Wook, senza dimenticare exploit come quelli forniti da chicche come I saw the devil - e Quentin Tarantino, che con Kill Bill divenne, di fatto, il nome di riferimento occidentale quando si trattava di gustare più o meno freddo il piatto della vendetta.
Proprio il ragazzaccio di Knoxville, lo scorso anno, fece la fortuna di una decina di titoli più o meno noti indicati come i suoi favoriti del duemilatredici: in testa a questa personale top ten si trovava proprio Big bad wolves, risposta israeliana non solo ai suddetti e specializzati autori ma anche al portentoso e quasi contemporaneo Prisoners per tematiche trattate.
Non aspettatevi, però, un dramma quasi opprimente come quello portato in scena da Villeneuve, nonostante un'apertura di una tensione insostenibile ed una serie di situazioni che toccano da vicino non soltanto chi è genitore, ma senza distinzioni qualsiasi essere umano, di norma decisamente allergico agli individui che si macchiano di reati sui minori: Big bad wolves, infatti, a fronte di una storia agghiacciante, violenta, terribile e decisamente pulp equilibra il bagaglio che l'audience è costretta a portare nel cuore e sulle spalle dall'inizio alla fine grazie ad una componente grottesca che spesso e volentieri finisce quasi per sconfinare nel comico, come se si fossero incontrati e ben shakerati il dramma da camera in stile La morte e la fanciulla ed il surrealismo di Fuori orario.
Il confronto tra i tre protagonisti - il padre dell'ultima vittima dell'assassino, il presunto serial killer ed il poliziotto accusato di un abuso di potere pronto a scommettere non solo la sua carriera sulla colpevolezza del sospettato - diviene dunque il veicolo di un'altalena di emozioni in grado di condurre chi è dall'altra parte dello schermo da momenti quasi divertiti ad altri di profondo orrore: i registi, sfruttando intuizioni al limite della genialità - straordinario l'incontro tra il poliziotto e l'arabo a cavallo, una vera chicca di humour nero e satira a proposito dell'ancora delicata situazione politica in una delle zone per decenni più calde del mondo - e l'incertezza creata dalle posizioni dei tre uomini al centro della vicenda - in ben più di un'occasione si finisce per nutrire dei dubbi a proposito di quello che si è stati portati a pensare fino a quel momento -.
Proprio questo stesso "duello", legato a doppio filo al dubbio, alla paura, all'imposizione, alla vendetta e alla tortura - senza contare il ribaltamento di ruoli tra il presunto carnefice ed i suoi carcerieri - finisce per fare da catalizzatore alle domande pronte a venire a galla nel cuore del pubblico: già lo straordinario Il sospetto, lo scorso anno, aveva trattato il tema delle accuse senza fondamenti specifici in termini decisamente drammatici, e proprio in quell'occasione mi capitò di pensare a quanto peso potrei dare alle affermazioni del Fordino se mi parlasse di qualcuno che potrebbe avergli fatto del male: il passaggio dall'indagine alla violenza e dalla punizione subordinata alla Legge a quella ordita dall'Uomo è senza dubbio definito da un confine molto labile, tanto da convincermi che, inserito in un contesto come quello in cui si muovono i protagonisti di questa storia, potrei finire per risultare più simile al padre della vittima che non al poliziotto, e che, forse, finirei per non avere neppure bisogno di una vera confessione per liberare la furia di una vendetta che chiamerebbe a gran voce la testa di qualcuno capace di perpetrare un delitto ben più terrificante di quelli che potranno mai essere consumati parlando di persone adulte.
Ed il climax grottesco e terribile del finale, che mescola ingredienti decisamente importanti da Mystic river a Old boy, sfruttando almeno un paio di trucchi di sceneggiatura di grande effetto - attenzione all'incrocio di compleanni e alla lezione di danza - è la conclusione più efficace possibile per una storia senza respiro ed assolutamente agghiacciante, ben mascherata dai suoi registi pronti a mostrarne gli aspetti più sordidi attraverso un linguaggio in grado di non appesantire gli stessi, finendo per rendere almeno in parte sostenibile una tensione che, anche soltanto in questo modo, attanaglia in ben più di una sequenza - la già citata apertura, la fuga nei boschi in bicicletta, il ritorno dalla serra quasi contemporaneo a quest'ultima -: il vecchio Quentin potrebbe aver apprezzato la componente pulp o lo script di questo Big bad wolves, o chissà, forse anche lui finisce per essere meno duro di quanto non dia a vedere attraverso i suoi lavori.
Eppure i lupi cattivi che infestano i nostri boschi paiono venire da una Realtà decisamente più violenta, senza speranze e spaventosa di quella che il Cinema - ed i suoi interpreti più tosti, Tarantino in primis - potranno mai davvero pensare di portare sul grande schermo.
MrFord
on those of us who fall behind
and when we stumble in the snow
could you help us up while there's still time."
Garth Brooks - "Wolves" -